Una posizione chiusa negli Stati Uniti e una aperta in Italia.
Poco più di un anno dopo il passo indietro del fondatore e allora amministratore delegato Travis Kalanick e a un anno dalla Ipo, che sarebbe in calendario per la fine del 2019, Uber continua a mescolare le carte alla ricerca di un’identità forte e profittevole. Il numero uno Dara Khosrowshahi le ha già dato un nome, paragonandosi a un altro dei giganti a stelle e strisce, pratica piuttosto inusuale per il timoniere di una società valutata quasi 70 miliardi di dollari: «Vogliamo diventare una sorta di Amazon dei trasporti» ha dichiarato alla Code Conference di Recode. L’app nera è partita dalle discusse auto, con conducente o guidate da privati, — come Amazon ha fatto con i libri — e sta provando a scalare con le consegne per i ristoranti (UberEats), le prenotazioni di scooter (con Lime) e biciclette elettrici (con Jump) o le prenotazioni di biglietti (con Masabi) mentre cerca di sanare la tossica cultura aziendale ereditata dalla gestione Kalanick e guarda verso India, Medio Oriente e America Latina. La corsa verso l’Ipo è costellata da perdite trimestrali da poco meno di 900 milioni di dollari, imputabili soprattutto agli investimenti e in calo del 16 per cento su base annua, e da entrate in crescita del 63 per cento a 2,8 miliardi. Nel 2017 le perdite sono state pari a 4,5 miliardi, rispetto ai 2,8 miliardi dell’anno precedente.
Dal 10 settembre se ne occuperà Nelson Chai, che si accomoda sulla poltrona di chief financial officer rimasta vuota nel 2015. Classe 1965, già amministratore delegato di The Warranty Group e Cfo di Merrill Lynch, dove lavorava a stretto contatto con l’ex ad della banca di investimento e membro del consiglio di amministrazione di Uber John Thain, appare come una conferma — ancora non ufficiale — dello sbarco a Wall Street nei prossimi dodici mesi. Khosrowshahi è stato chiaro: non pretende di arrivare alla quotazione in utile, ma vuole presentare un percorso chiaro per raggiungere l’obiettivo.
Novità ai vertici anche in Italia, dove Uber è presente con le auto di UberBlack (quelle con conducente professionista) e le consegne di UberEats, che da qualche mese coinvolgono anche McDonald’s, e aspetta alla finestra la riforma dei trasporti pubblici nostrani. Il general manager Carlo Tursi ha dato le dimissioni, che saranno effettive dal 1 novembre. In Uber Italia dal 2014, dopo aver preso le redini da Benedetta Arese Lucini, il 37enne Tursi ha lanciato UberEats nei nostri confini e nel 2017 ha affrontato il blocco di UberBlack da parte del Tribunale di Roma, decisione poi ribaltata accogliendo il reclamo del colosso californiano. Fa invece parte dell’era Arese Lucini, oggi ad di Oval Money, il niet a UberPop, versione dell’app con cui rivolgersi a vetture guidate da privati. Uber Italia ha già pubblicato la pagina con cui raccoglierà le candidature per il prossimo e terzo general manager: si fa riferimento all’attività di ridesharing a Milano, a Roma e in tutta Italia, a dimostrazione della volontà di insistere sulle quattro ruote. Il prossimo numero uno sarà anche quello che probabilmente coordinerà lo sbarco delle biciclette elettriche nella Penisola: disponibili in Germania da giugno, dovrebbero raggiungere il resto d’Europa in tempi brevi.
Martina Pennisi, Corriere.it