L’head quarter è in campagna e si affaccia su un grande prato con i daini e un laghetto dove nuotano le carpe. Nei magazzini della stagionatura ci sono le forme del Grana Padano e del Parmigiano reggiano ‘prodotto di montagna’, che nasce nel caseificio di Bedonia, in Alta Val Taro, dove il latte delle mucche prende il profumo di più di duemila erbe diverse. Dagli uffici di Ossago Lodigiano, Laura Ferrari, 57 anni, mette in campo le strategie per portare il suo marchio ‘Giovanni Ferrari’ fino in Asia e in India. Nei ruoli chiave di presidente e amministratrice delegata, dopo una lunga gavetta nel commerciale e nel marketing, è alla guida di un’industria che con 180 dipendenti e 123 milioni di euro di fatturato nel 2017 ha scelto la sostenibilità come valore primario della sua produzione.
È subentrata a suo padre Giovanni, oggi novantenne, che negli anni Sessanta, indovinando e cogliendo le opportunità della distribuzione moderna, ha rifondato l’azienda agricola nata nel 1823 che trasformava il latte nei formaggi tipici della pianura padana: il grana, i provoloni, il burro, la crescenza. Dalla sua esperienza in campo caseario, partendo dall’Italia e poi in Francia e in Germania, porta sugli scaffali formaggi di qualità confezionati, un’innovazione quasi pioneristica, con un nuovo modello distributivo nelle forme più adatte per il trade e per il consumatore esigente. “Così cambiava tutta la nostra organizzazione”.
L’impresa Ferrari si è connotata già dai primi del Novecento con una forte impronta femminile. La bisnonna Rosa, proprietaria del caseificio ‘G. Rossi e figli’, sposa Giovanni Ferrari, poi il caseificio va al figlio Silvio, e lui inizia a sviluppare l’attività e la estende a livello nazionale. I formaggi si vendevano fino a Napoli, dove Silvio conobbe e sposò, portandola a Lodi, Tina Paderni, una ragazza di via dei Mille, il salotto della città, di una famiglia illustre che vantava Camillo Paderni, archeologo e studioso alla corte di Carlo III di Borbone, direttore del museo di Portici e responsabile degli scavi di Pompei e Ercolano.
Laura Ferrari, che ha studiato Giurisprudenza per diventare avvocato alla Statale a Milano e nel 1986, dopo la laurea, si è specializzata in marketing alla Bocconi, si considera quindi la seconda generazione dell’impresa di famiglia. Con le sorelle Silvia e Claudia ha vissuto fin da bambina all’ombra della fabbrica. Sono le tre margherite che figurano sul logo dell’azienda, fiori di campo voluti dalla madre Egidia, maestra di scuola. E col tempo è stata sempre in prima linea nella gestione della società, contagiata dal padre nella passione per il lavoro. “Ci portava in Svizzera, in Baviera, cercava sempre di mostrarci altre realtà comunque legate alla nostra attività”. Un altro suo amore, da uomo cresciuto in campagna, era la caccia. “Ha cacciato viaggiando in tutto il mondo, dall’Appennino parmense fino in Africa, Alaska, Siberia e Tagikistan con i suoi cani segugi e noi figlie a fargli da interpreti. Ora è diventato quasi animalista e si preoccupa per le rondini”.
Il 2018 è stato un anno di grandi cambiamenti nell’azienda Ferrari. Silvia e Claudia che sono state responsabili una di marketing, operation e produzione, e l’altra del commerciale, pur restando nel consiglio di amministrazione, hanno scelto di non essere più operative. “Siamo cresciute confrontandoci, senza barriere, anche in modo vivace e animato – dice l’ad -. Per noi è sempre stata una leadership molto condivisa e partecipativa, perciò questo è un passaggio cruciale. Cerco di farle lavorare sempre un po’ e restano comunque un riferimento fondamentale. Abbiamo un direttore generale, perché i valori della famiglia sono importanti ma anche le competenze manageriali, se vogliamo crescere e svilupparci”.
Negli anni Ottanta l’azienda mette in campo un prodotto nuovo, ‘Gran mix’, la confezione di formaggio grattugiato fresco, ed è subito un successo che oggi rappresenta il 25 per cento del mercato della Ferrari, subito dopo affiancato da ‘Gran mix’ al pecorino. “È il risultato di una ricerca di prodotto e di marketing fatta da mio padre, appassionato di impianti per la conservazione della qualità adeguata al consumatore competente”. Nella nuova ricetta vengono utilizzati i grandi formaggi italiani e l’Emmentaler svizzero di cui l’azienda lodigiana è da sempre il principale importatore italiano. “Con le mie sorelle abbiamo acquisito un partner in Svizzera che si occupa della selezione dei caseifici. È prodotto con una tipologia standard da tante piccole latterie, lo facciamo stagionare in Svizzera poi in Italia lo confezioniamo e lo distribuiamo. È una scelta davvero top perché ogni anno puntualmente abbiamo le medaglie d’oro di qualità riconosciuta nel sistema svizzero”. Puntando anche a un packaging misurato e mai eccessivo. “La riduzione degli sprechi è un tema giustamente al centro del dibattito, e noi la rispettiamo in modo responsabile. Nel 2016 per questo abbiamo vinto un riconoscimento dal Conai, il Consorzio nazionale imballaggi”.
Le tappe della crescita aziendale vedono nel 2008 l’acquisizione del nuovo caseificio per il Parmigiano reggiano a Bedonia, in Alta Val Taro, in montagna, “sosteniamo l’agricoltura in montagna che è il posto più duro, un po’ un ritorno alle nostre origini di produttori, puntando su un prodotto molto tradizionale”. Tracciare l’origine del foraggio, dalla provenienza agli agricoltori che lo coltivano, e dare valore alla biodiversità della valle e dell’ambiente montano li ha consacrati partner di Slowfood e con il Parmigiano reggiano biologico ha ricevuto la medaglia d’argento all’International Cheese Award di Nantwich, nel Regno Unito.
Per rivedere il brand nel 2009 Ferrari chiede aiuto a Giò Rossi, un guru dell’advertising e nello stesso anno, per portare il nome ‘Giovanni Ferrari’ all’estero, stringe un accordo finanziario con i partner francesi Savencia, multinazionale con una famiglia al vertice, quotata in Borsa. “Loro distribuiscono i nostri prodotti all’estero, noi i loro in Italia, ‘Camoscio d’oro’ e di ‘Caprice de dieux’”. L’intesa con i soci francesi è stata un’opportunità di sviluppo, per guardare al futuro. “Pensiamo che sia il partner ideale. Tutti i mesi faccio un viaggio in Europa. Da mio padre ho imparato che bisogna cercare di vedere sempre le cose con i propri occhi, andare nei punti vendita, verificare, essere presente in azienda ma guardare il mercato. In Germania in tre anni siamo cresciuti diventando la seconda marca con posizionamento molto premium e ‘Gran padano riserva’ è considerato il miglior formaggio duro venduto nel paese”. Nel 2012 è stato acquisito il nuovo stabilimento a Fontevivo, in provincia di Parma, nell’area tipica del parmigiano reggiano.
Il carattere deciso per un capitano d’industria conta molto. “Vorrei essere paziente e pacata, ma al di là delle mie dichiarazioni, sono anche abbastanza determinata, un conto è l’ambito familiare, altro è quello professionale. Mi sforzo di ascoltare”.
Laura Ferrari è l’unica donna nel consiglio di amministrazione del Consorzio Grana Padano, per numeri la dop (denominazione di origine protetta) più importante. “Oggi sono da sola ma mi auguro che al rinnovo del cda molte più donne potranno portare il proprio contributo. Il nuovo statuto prevede le quote rosa. È pur vero che il criterio portante deve essere la meritocrazia, ma c’è bisogno di un ricambio. In Assolatte siamo in quattro su 20, una minoranza molto presente. Mi auguro che entrino in campo le Millennials”.
Sposata dal 1994, l’imprenditrice che vive tra Lodi e Piacenza, ama infinitamente passeggiare con Cris, un pastore tedesco femmina di 11 anni, “sono la sua amica delle gite più che la sua padrona, lei mi accompagna, mi segue, le sono grata”. Senza figli ma con cinque nipoti, cerca spesso l’occasione per stare insieme con loro. “È un gruppetto di cugini dai 23 ai 14 anni. Passiamo delle vacanze insieme, è una cosa a cui tengo moltissimo, mi piace la loro compagnia, sono dei ragazzi entusiasmanti, ciascuno per un verso. La prima studia medicina, la seconda genetica, il terzo arte a Londra, gli altri sono ancora al liceo”.
D’estate fa la guida al museo. Quello fondato da suo marito Gianantonio Locatelli, imprenditore agricolo piacentino, primo produttore di latte per il Grana padano con 2.500 bovini di razza selezionata, animali che producono quotidianamente 360 quintali circa di latte. È il Museo della Merda, che ha vinto premi ed è conosciuto fino in Giappone, “c’è qualche lavoro d’artista interessante, però il compito del nostro museo non è quello di esporre, ma di rendere chiaro il concetto di un’economia circolare quindi di trasformazione e di individuazione di applicazioni virtuose”. Un progetto ecologico e industriale: in una grande installazione molto colorata c’è un impianto di biogas, che consente di ricavare dallo sterco metano, concime per i campi, materia grezza per intonaco e mattoni.
Laura Ferrari attribuisce a suo padre l’insegnamento più importante: coltivare le passioni. “L’ho sentito dire anche a uno dei miei nipoti: saranno importanti i voti che prendo all’università ma più ancora conta quello che faccio”.
Patrizia Capua, Repubblica.it