Monta sempre di più la pressione sulla Turchia, stretta da un crollo della lira che è scesa ai nuovi minimi storici oltre quota 6 per un dollaro (ha perso un terzo di valore da inizio anno) e da un’inflazione galoppante con i rendimenti dei titoli di Stato decennali che da giorni stazionano intorno al 20%. Si iniziano a vedere i primi segnali di preoccupazione per la situazione di Ankara, che cova da tempo sotto le ceneri del potere vastissimo di Erdogan ed è emersa con le tensioni con gli Usa per la vicenda della detenzione del pastore Brunson. Oltre alle valute emergenti, anche l’euro ha risentito di queste tensioni e i listini azionari europei trattano in netto ribasso.
Il ministro delle Finanze, genero di Erdogan, ha provato a tranquillizzare tutti dicendo che l’inflazione verrà dimezzata al 2020, e che le banche sono forti grazie al loro surplus di capitale. Nella serata di giovedì, lo stesso Erdogan ha denunciato “campagne” contro il suo Paese: “Ci sono diverse campagne in corso, non prestate loro alcuna attenzione”, ha detto citato dalla Reuters. “Non dimenticate questo: se loro hanno i dollari, noi abbiamo la nostra gente, il nostro diritto, il nostro Allah”.
Ad allargare l’ombrello di preoccupazione sulla moneta unica (euro in calo a 1,144 dollari in avvio di giornata) ha contribuito un articolo del Financial Times, che descrive la Bce come “preoccupata” per l’evolversi della situazione turca e in particolare per l’esposizione di alcune banche verso quell’economia. Il quotidiano della City fa i nomi e cognomi: la spagnola Bbva, la nostra Unicredit e la francese Bnp Paribas. Secondo la ricostruzione – alla quale gli istituti interessati e Francoforte hanno opposto il classico “no comment” – non ci sarebbe ancora presso l’Eurotower la percezione di una situazione come “critica”, ma da qualche tempo si fanno i conti delle esposizioni verso il Paese. Il crollo della valuta penalizza gli utili realizzati localmente dalle banche che hanno aperto operazioni significative lì. Preoccupa poi che i creditori locali non si siano protetti dalle oscillazioni valutarie e siano in difficoltà dal restituire i prestiti in divisa estera che hanno sottoscritto e valgono ben il 40% delle esposizioni del mondo bancario turco.
Nonostante i crediti deteriorati siano solo al 3% dei prestiti, Moody’s paventa che questa cifra salirà con l’aumentare della pressione economica. WisdomTree notava pochi giorni fa che l’economia turca rimane vulnerabile, “in quanto il suo disavanzo delle partite correnti è il più elevato tra i mercati emergenti e i livelli di inflazione sono quasi tre volte superiori all’obiettivo della banca centrale”. Inoltre le società hanno 337 miliardi di dollari di passività in valuta, con un deficit di 217,3 miliardi netti rispetto agli asset. E le banche sono esposte a costi di finanziamento più elevati in quanto si prevede che il debito di quasi 100 miliardi di dollari vada a scadenza nell’arco di un anno. Gli osservatori internazionali sono poi preoccupati per come il potere politico si estende sulla Banca centrale, rea ad esempio di non aver dato corso a una stretta monetaria che poteva calmare un poco i prezzi.
Secondo il conteggio del Ft, alle banche spagnole fanno capo esposizioni per oltre 83 miliardi di dollari, a quelle francesi per 38 e alle nostre per 17 miliardi. Nel caso di Unicredit c’è poi da considerare l’investimento da 2 miliardi e mezzo di euro in una quota del 40,9% di Yapi Kredi, che sul mercato dopo il crollo della lira vale 1,15 miliardi. Durante la recente presentazione dei conti semestrali, gli analisti hanno chiesto se fosse necessaria una svalutazione ma dalla banca hanno risposto che l’impatto sarebbe stato assorbito dalle riserve proprie. Intanto il titolo parte in netto ribasso a Piazza Affari.
listini azionari europei aprono deboli: Milano perde l’1,2%, Parigi lo 0,85%, Londra lo 0,5% e Francoforte lo 0,8%. Istanbul retrocede di mezzo punto percentuale. Anche lo spread tra il Btp italiano e il Bund tedesco nei primi scambi della mattinata risente delle tensioni sui mercati e sale sopra 255 punti base, con il rendimento oltre il 2,9%.
Questa mattina, la Borsa di Tokyo ha chiuso in calo dell’1,33%. L’economia giapponese è tornata a crescere con un Pil a +0,5% nel secondo trimestre. Wall Street è reduce da una seduta contrastata nella quale il Nasdaq ha infilato l’ottavo rialzo consecutivo (+0,04%), mentre il Dow Jones ha perso lo 0,29%. Oltre alla vicenda turca, non arrivano certo segnali distensivi dagli altri fronti internazionali aperti. La Russia ad esempio ha detto che considererà “una dichiarazione di guerra economica” l’adozione di nuove sanzioni americane e reagirà con tutti i mezzi a disposizione.
Quotazioni del petrolio in leggero rialzo in Asia. Il barile di light sweet crude, con consegna a settembre, guadagna 1 centesimo a 66,82 dollari. Il barile di Brent, con consegna a ottobre, sale di 9 centesimi a 72,16 dollari. Lieve calo per il prezzo dell’oro sui mercati. Il metallo con consegna immediata perde lo 0,3% a 1209 dollari l’oncia.
Raffaele Ricciardi, Repubblica.it