Era il sogno erotico di tutti ma è stata l’attrice più infelice del nostro cinema
Ebbi il privilegio di incontrarla. Sembrava la vicina di casa semplice, ma si rivelò misteriosa e inavvicinabile. Una favola moderna che divenne una storia drammatica
(di Cesare Lanza per LaVerità) Scrivo con un certo imbarazzo: il primo pensiero che mi viene in mente, volendo definire Laura Antonelli, corrisponde a due parole che vi appariranno banali. Era bellissima! Tutto qui? Beh, Luchino Visconti andò oltre e la definì «la donna più bella dell’universo». Avevo un rapporto confidenziale, 40 anni fa, con Salvatore Samperi, il regista che più di tutti la fece diventare celebre, ingaggiandola per i due film, Malizia e Peccato veniale, che attribuirono a Laura Antonelli l’identità della donna più desiderabile del mondo, il simbolo dell’erotismo. Ed ero in rapporti molto amichevoli con Sandro Parenzo, oggi un prestigioso imprenditore nel mondo del cinema e della televisione, all’epoca lo sceneggiatore prediletto da Samperi.
Parenzo ricorda la Antonelli così: «L’idea della servetta che eccita tutti i maschi di casa la pescammo un po’ da Vitaliano Brancati. Calze velate, buco della serratura, silenzi d’appartamento, rumore della doccia. Fu un miracolo». E così, grazie alle consuetudini di stima e simpatia con Salvatore e con Sandro, ebbi il privilegio di incontrare qualche volta Laura, la dea dell’amore. Incontri occasionali, formali e superficiali: sufficienti però per trasmettermi l’immagine delle contraddizioni della sua personalità e della favola moderna che rappresentava (sarebbe poi diventata, in pochi anni e imprevedibilmente, una storia umana disperata, drammatica). Dunque, Laura Antonelli sembrava la vicina di casa semplice e alla portata di tutti, la ghiotta preda di una conquista in apparenza facile. Ma, allo stesso tempo, rivelava una bellezza aristocratica e misteriosamente particolare, raffinata e inavvicinabile. Avevi l’impressione, parlandole, di poter sfiorarla con semplicità, toccarla, abbracciarla e sedurla, come una ragazza qualsiasi che portavi al cinema, o in discoteca, per darle qualche bacio e limonare, in quegli anni si diceva così, senza problemi. Una di noi, una delle tante. Ma quanto era ingannevole l’impressione del primo impatto! Con la stessa naturalezza con cui ti sembrava la ragazza da corteggiare nel cortile di casa, subito e con stile impalpabile, Laura diventava una regina che ti teneva a distanza: con naturalezza e senza l’altezzosità di un pur minimo atteggiamento scostante. E confesso che, come tanti, incontrandola, mi sentivo in soggezione.
Non era celebrata da tutti. Ci fu anche chi – ad esempio il saggista e critico dell’Espresso, Giovanni Buttafava – provò a smitizzarla con drastica rudezza. «Era assurta a simbolo del sesso italico: piccole porcherie esplosive, fissate in un catalogo da variare all’infinito.» A mio parere non aveva colto la genialità artistica di Samperi e Parenzo e ancor meno il segreto del fascino di Laura. In generale, le opinioni sul caso Antonelli erano entusiastiche. Rodolfo Sonego: «Era di una bellezza estremamente desiderabile e ingannevole. Poteva far perdere la testa a qualsiasi uomo l’avesse incontrata». Marco Giusti: «Se non si spogliava, non esisteva… lei stessa era consapevole del meccanismo. Del resto, era diventata una megastar, recitava per Giuseppe Patroni Griffi, Mauro Bolognini, Luchino Visconti, al massimo della carriera la vollero anche Dino Risi, Luigi Comencini, Sergio Corbucci: riuscì a mischiare commedia e cinema altissimo. Eppure, anche questi maestri, con questi film coltissimi la volevano sempre nuda, perché la venerazione per il suo Corpo non veniva mai meno».
Delicato e struggente il ricordo, nel giorno della morte di Laura, dell’amica Michela, sua vicina di casa. «Lasciava bigliettini sotto gli usci degli appartamenti. C’era scritto: “Pregate Iddio e la Madonna”». Di solito, lei Dio lo chiama «Papino». Scarna e telegrafica invece la testimonianza di Jean Paul Belmondo, con cui Laura ebbe la storia sentimentale più importante della sua vita: nove anni di amore e passione, in altalena tra litigi e riappacificazioni. «Una compagna adorabile, dallo charme eccezionale. Fu una partner di grande qualità, che tutti apprezzavano sui set. Voglio conservare solo i meravigliosi ricordi». «Un fenomeno di bellezza, di freschezza, di genuinità», ha detto Pippo Baudo. Qualche anno fa l’ho sentita al telefono, mi invitò a recitare con lei il rosario. Mi accorsi che non viveva un momento psicologico tranquillo». Nel corso della sua favola prima festosa, e poi senza lieto fine, Laura parlando della sua vita ha mantenuto un’ammirevole lucidità. Autocritica e spietata con sé stessa, con distacco, prima di tutto. «Ero ricca e famosa, ma vuota dentro». «Uso il dolore come una spugna e un po’ alla volta cancello le persone che mi hanno fatto soffrire» (nel 2003, dopo il flop del remake di Malizia). «Tanti hanno abusato della mia bontà e forse anche della mia fragilità e dicono che non sono capace di intendere e volere. Io sono morta da anni». «Mi farebbe piacere vivere in modo più sereno e dignitoso, anche se a me la vita terrena non interessa più. Vorrei essere dimenticata». «Forse non ero tagliata per fare l’attrice. Non ero preparata ad affrontare quella carriera, il successo, la popolarità, quell’ambiente, con le illusioni e le delusioni. Sono sempre stata una persona semplice, timida, attaccata ai valori della famiglia. Oggi, per me, esiste solo Gesù». «Il passato mi ha regalato tanto, ma mi ha tolto molto di più». «Sono bassina, un po’ tondetta e ho le gambe piuttosto corte: chissà perché piaccio?». «Ho un male nell’anima. Ho sempre la voglia istintiva di chiudere gli occhi e di raggomitolarmi in un angolo». «Vivo con quanto mi basta, il tempo del lusso è finito per sempre. Non mi servono più ville, panfili e bella vita» (nel 2011). E ancora. «Sogno una nuova serenità che mi dia equilibrio e che mi permetta di affrontare gli anni che verranno, la vecchiaia che, mi dicono i medici, cerca di aggredirmi» (dieci anni prima, nel 2001). «Di spirito mi sento appena 40 anni. Voglio vivere tranquilla, amare Dio e pensare sempre positivo. Possibilmente un po’ più libera. Sono felice, ho lasciato tanti anni fa la strada sbagliata» (nel 2012). «Vivo nel silenzio. Sono molto chiusa, non faccio confidenze, non ho amici. Sono angosciata da tutto: dallo squillo del telefono al mistero dell’universo» (nelle interviste degli anni Novanta). «Vivere con un tutore a 70 anni mi sembra proprio ingiusto, ma me lo ha imposto il tribunale» (nel 2012). «I più grandi errori della mia vita? La droga e sposarmi a 24 anni, senza capire cosa stessi facendo». «Mi sono legata a uomini sbagliati. Colpa mia. Colpa del mio dannato bisogno d’affetto» (dopo la conclusione della lunga storia con Belmondo). «Cerco la pace, per me ora c’è solo Gesù».
Laura Antonelli era nata a Pola, il 28 novembre 1941 e morì a Ladispoli, il 22 giugno 2015. Pola era una città istriana, all’epoca italiana. Insieme ad Alida Valli, Femi Benussi e Sylva Koscina, fu una delle «bellissime quattro» attrici dalmato-istriane. Profuga, si trasferì con la famiglia a Napoli e qui si diplomò come insegnante di educazione fisica. A Roma cominciò il lavoro di attrice. A 24 anni il matrimonio con l’antiquario Enrico Piacentini, nozze di breve durata, senza figli. A seguire una breve relazione con il comico Mario Marenco (collega di Renzo Arbore alla radio in Alto gradimento) e la lunga storia d’amore (dal 1972 al 1980) con Jean-Paul Belmondo. Nessun figlio. Caroselli per la Coca Cola, numerosi fotoromanzi, esordio nel cinema con piccoli ruoli, a cominciare da Il magnifico cornuto di Antonio Pietrangeli (1964) e Le sedicenni di Luigi Petrini (1965). La prima parte importante arriva nel ’69: il regista Massimo Dallamano la vuole come protagonista di Venere in pelliccia, dal romanzo di Leopold von Sacher-Masoch. Ma tutto si dissolve per via di una severa censura che blocca l’uscita del film (riproposto sei anni più tardi con il titolo Le malizie di Venere).
La vera notorietà e il successo arrivano nel 1971 quando le viene affidata la parte della moglie del violoncellista ne Il merlo maschio, con Lando Buzzanca e regia di Pasquale Festa Campanile. Con Malizia, 1973, diventa un’icona dell’erotismo all’italiana. A seguire Trappola per un lupo di Claude Chabrol (sul set conobbe Beimondo), Sessomatto di Dino Risi e Mio Dio, come sono caduta in basso di Luigi Comencini e lo splendido Peccato veniale, ancora di Samperi, La divina creatura di Patroni Griffi, con una scena di nudo integrale della durata di ben sette minuti, un record per l’epoca. E ancora L’innocente di Luchino Visconti, nel 1977, Gran bollito di Mauro Bolognini e Passione d’amore di Ettore Scola del 1981. In seguito, commedie come Il Malato immaginario e L’Avaro di Tonino Cervi con Alberto Sordi protagonista; e ancora con Samperi, in Casta e pura (1981), a fianco di Massimo Ranieri.
A metà degli anni Ottanta, comincia lenta e inesorabile la decadenza. Sempre più remoto il successo di Malizia, che aveva girato accanto a Turi Ferro e al giovane pariolino Alessandro Momo. Il film aveva incassato 6 miliardi di lire e Laura, al vertice della carriera -100 milioni a film – vinse il Nastro d’argento come migliore attrice protagonista, e il Globo d’oro come l’attrice rivelazione. Il trionfo fu turbato dalla morte di Momo, che a soli 17 anni si schiantò in moto (non avrebbe potuto neanche guidarla) contro un taxi. Al giovane – ricco, bello, occhi azzurri, seduttivo – erano stati attribuiti flirt con Agostina Belli, Monica Guerritore e naturalmente Laura Antonelli. Il finale della favola é malinconico. Nel 1991 Laura gira Malizia 2000, il sequel – regia ancora di Samperi – dell’antico trionfo. É un flop di critica e pubblico: l’ultima apparizione cinematografica di Laura. Il film, «patetico e imbarazzante», é un fallimento, artistico e anche al botteghino. L’attrice aveva solo 50 anni! – fu deturpata al viso da una serie di iniezioni prescritte per nascondere i segni dell’età. Ci fu un lungo processo civile: la Antonelli denunciò il produttore e anche l’amico regista: chiedeva un risarcimento di 30 miliardi per i danni. Dopo 13 anni, il chirurgo estetico, il produttore e Samperi furono assolti.
La bellissima Laura Antonelli non esisteva più: depressa, ingrassata, ricoverata in un centro di igiene mentale e arrestata per detenzione di droga: 36 grammi di cocaina, sei giorni di carcere e poi agli arresti domiciliari, nove anni per avere giustizia con piena assoluzione. La dr oga era per uso personale, non per spaccio. Nel 2009 viene interdetta allo scopo di difenderla da truffatori e profittatori. Nel 2013 Simone Cristicchi vorrebbe portarla a Sanremo per cantare al festival Laura, la canzone che le ha dedicato. Lei rifiuta, desidera solo la solitudine e la vicinanza di Gesù. Lino Banfi, suo amico, vorrebbe organizzare per lei un sostegno economico. È dimenticata da tutti e vive con appena 500 euro al mese di pensione. Laura rifiuta l’aiuto sostenendo di non essere interessata alla vita terrena. Concesse un’ultima intervista al free press L’Ortica nel marzo 2012, nella quale diceva di considerare «frivola il mondo dello spettacolo». Era una creatura derelitta che aspettava solo la morte. È stata l’attrice più bella e più infelice nella storia del cinema italiano.