Una causa in corso all’Alta Corte britannica accusa la piattaforma di aver schivato le protezioni per la riservatezza di Safari. Coinvolge 4,4 milioni di utenti. Per questo Big G rischia un maxirisarcimento da 4,3 miliardi di dollari
UNA BELLA patata bollente per Google, citato in giudizio all’Alta Corte britannica con l’accusa di aver “clandestinamente registrato e analizzato” le informazioni di 4,4 milioni di utenti di iPhone nel Regno Unito. Come? Di fatto schivando le protezioni per la privacy previste dal browser di Cupertino, Safari, nel periodo compreso fra agosto 2011 e febbraio 2012. L’obiettivo era sempre lo stesso: analizzare meglio il traffico e il pubblico a scopi pubblicitari.
La causa potrebbe potenzialmente condurre il colosso californiano a pagare 4,3 miliardi di dollari in caso di sconfitta. Il gruppo “Google You Owe Us” rappresenta appunto milioni di utenti raccolti intorno al cosiddetto “Safari Workaround”, cioè alla “scappatoia Safari”. Un trucchetto scoperto per la prima volta nel 2012 da un ricercatore della Stanford University e per la medesima questione Google ha accettato di pagare 17 milioni di dollari a 37 Stati e a Wshington D.C. in un accordo del 2013. Altri 22,5 milioni di sanzione sono invece arrivati dalla Federal Trade Commission. Ma certo una prospettiva come quella possibile nella corte britannica non era stata messa in programma.
Big G e i gruppi di difesa della privacy si sono incontrati per la prima volta lo scorso lunedì. Ciascun utente rappresentato potrebbe ottenere circa mille dollari. Il che porterebbe appunto il conto a un livello stellare pur per le ricche tasche di Mountain View. Almeno stando alle rivelazioni di Bloomberg. In particolare, l’azione legale è stata avviata dall’ex direttore dell’associazione dei consumatori “Which?”, Richard Lloyd: nel corso dell’udienza gli avvocati dei gruppi che accusano Google hanno spiegato ai giudici che Google avrebbe raccolto dati su razza, salute, preferenze politiche, sesso, classe sociale, dati finanziari e geolocalizzazioni. Informazioni poi aggregate allo scopo di raccogliere gli utenti in gruppi da “vendere” agli inserzionisti pubblicitari.
Da Mountain View viene respinta ogni accusa e, oltre tutto, si contesta la legittimità di una simile causa, discussa in un tribunale britannico. Nel corso dell’udienza, in ogni caso, il colosso ha specificato che non c’è modo di verificare che ciascuno di quegli utenti sia effettivamente stato toccato da quel meccanismo di tracciamento. “Riservatezza e sicurezza dei nostri utenti sono molto importanti per noi – ha spiegato Tom Price, direttore delle comunicazioni di Google Uk – questo caso di riferisce a fatti di oltre sei anni fa che abbiamo affrontato all’epoca e dovrebbe essere archiviato”.
Simone Cosimi, Repubblica.it