Si dice che Albert Einstein, alcuni anni dopo Hiroshima, abbia esclamato: «Ah, la Bomba Atomica! Se solo l’avessi saputo, avrei fatto l’orologiaio!». Sia o meno una leggenda metropolitana, questa battuta la dice lunga sui possibili pentimenti dei grandi scienziati. Questo precedente illustre viene in mente leggendo la lettera aperta pubblicata sul Guardian dallo scenziato che tutti reputano il padre di internet, cioè Tim Berners Lee, in occasione del ventinovesimo compleanno della sua invenzione. Dai cui sviluppi, però, Lee prende le distanze: «Il web di qualche anno fa», ha scritto, «non è quello che i nuovi utenti trovano oggi» poiché all’inizio c’era una «ricca selezione di blog e siti», ora la si trova «compressa sotto il grande peso di poche piattaforme dominanti».
Ecco qua: finalmente alle voci preoccupate ormai da tempo levatesi da molti protagonisti della politica e della cultura si aggiunge quella dello scienziato più autorevole in materia. Berners Lee sottolinea che le poche società leader del web possono «controllare quali idee e opinioni vengono viste e condivise» e così «trasformare il web in un’arma». Ma la cosa clamorosa è un’altra: lo scienziato che insegna al Mit di Boston, si è spinto a pronunciare un sacrilegio per la cultura iperliberista degli Stati Uniti: ha detto che la soluzione a queste anomalie non può venire dalle stesse aziende che se ne avvalgono (sante parole!) per «cercare di massimizzare i loro profitti» e dunque che i tempi sono maturi per «un intervento normativo e giuridico». Voi capite che per un tecnologo-economista americano invocare una legge che disegni i confini delle applicazioni di una tecnologia (peraltro inventata da lui!) sarebbe come per il Papa mettere un tetto massimo quotidiano alle ostie consacrate distribuibili nelle chiese del mondo.
Ma proprio perché l’ha inventata e ne conosce le straordinarie potenzialità, Berners-Lee teme una Rete al servizio di pochi monopolisti. Anche perché, ha annotato, stanno sviluppando una concentrazione di potere nociva alla stessa evoluzione delle tecnologie. Cosa fanno, infatti, i big della Rete? Impiegano i loro esorbitanti mezzi economici per acquisire le start-up e i migliori talenti, impedendo sul nascere l’avvento di nuovi concorrenti. Di questo passo, l’innovazione rallenta! E forse, qualsiasi cosa ne dica l’intellighenzia americana, ciò che Trump ha appena fatto (bloccare la fusione da 117 miliardi di dollari tra i due colossi dei microchip Qualcomm e Broadcom) va nella stessa direzione: no ai monopolisti mondiali della tecnologia. Google, Facebook e Amazon sono avvisati.