Il presidente dell’Autorità, scelto da Renzi: «Sopprimerla sarebbe impossibile. Ma spesso la burocrazia si nasconde dietro di noi per non decidere». Una candidatura politica? «Nessuno me l’ha chiesto. In ogni caso rifiuterei, sarebbe inopportuno»
«L’Autorità che presiedo è stata creata sostanzialmente con questa legislatura. Nasce da un’idea moderna, e cioè che la corruzione vada combattuta non solo dopo, con il giudice penale, ma anche prima, con la prevenzione. Mi auguro che la prossima campagna elettorale non metta in discussione questo principio». Raffaele Cantone è dal marzo 2014 presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. Scelto da Matteo Renzi, che per lui aveva pensato anche al ruolo di ministro, e ratificato all’unanimità dal Parlamento.
Il suo mandato scade nel 2020. Non teme che un’eventuale tramonto del renzismo possa travolgere anche lei?
«L’Anac è un’autorità indipendente dalla politica, ha colmato un grande vuoto viste le tante segnalazioni che riceviamo anche dagli esponenti di tutti i partiti. Farne a meno significherebbe riavvolgere il nastro della modernità fino al punto di partenza, rinunciare all’idea della trasparenza. Non credo sia possibile».
Ma qualche segnale c’è. Per Matteo Salvini l’Anac alimenta la burocrazia.
«Un fondo di verità c’è».
Ma come, la pensa così anche lei?
«Non mi fraintenda. Spesso la burocrazia si nasconde dietro di noi per non decidere. Le faccio un esempio. Una prefettura, non le dico quale, ci ha chiesto una valutazione sulle modalità per aprire le buste di una gara. Ma noi non abbiamo mica competenza su queste cose. In questo Salvini ha ragione».
Stefano Parisi, ex candidato sindaco a Milano, dice che l’Anac va abolita. Il suo partito sarà anche piccolo ma l’intenzione è esplicita.
«Sono rispettoso delle scelte della politica ma mi viene il dubbio che Parisi non sappia di cosa parla. La soppressione dell’Anac sarebbe impossibile, anche per via di una serie di impegni internazionali. In ogni caso sto ancora aspettando di vedere, carte alla mano, in quale vicenda avremmo bloccato il Paese».
Sulla ricostruzione delle zone terremotate.
«Falso. Finora quasi tutta la ricostruzione è stata fatta dalla Protezione civile. E noi in quelle procedure non possiamo entrare. Abbiamo tutto l’interesse a far svolgere le gare rapidamente, con un sistema simile a quello dell’Expo».
Su Expo, però, ci sono diverse inchieste in corso.
«Ma sul periodo prima del 24 giugno 2014, quando siamo entrati in campo».
Avete iniziato gli arbitrati sulle quattro banche fallite, compresa Etruria?
«Dovevamo aspettare che scadessero i termini per le domande, fissati a novembre. La prima udienza c’è stata il 19 dicembre. Le pratiche sono un migliaio per un valore totale di 80 milioni di euro. La maggior parte riguarda Banca Etruria. Contiamo di chiudere in tempi ragionevoli. Un anno, un anno e mezzo al massimo».
A proposito di banche: le sembra utile oppure no la commissione parlamentare d’inchiesta?
«Non entro in una valutazione che spetta alla politica. Ma voglio sottolineare una cosa: l’Italia si è fatta carico di trovare una soluzione a un problema derivato da una normativa europea. Non solo per chi aveva le obbligazioni subordinate ma adesso, con il fondo inserito nella manovra, anche per gli altri risparmiatori che hanno subito un danno. Su vicende simili, in passato, nessuno aveva visto nulla. Pensate a chi aveva comprato i bond argentini».
La legislatura si è chiusa con il decreto sulle intercettazioni. Cosa ne pensa?
«Aspetto di vedere il testo. Ho qualche perplessità sul fatto che sia la polizia giudiziaria a dover trascrivere le intercettazioni rilevanti per le indagini. Gli abusi ci sono stati e bisognava intervenire. Ma credo che lasciare al pm il ruolo di garante sia nell’interesse di tutti, anche della polizia. Saluto invece con grande piacere la norma che consente ai giornalisti di avere direttamente le istanze cautelari. È un mio vecchio pallino»
Il Pd cerca candidati nella cosiddetta società civile. Hanno cercato anche lei?
«No. In ogni caso rifiuterei perché devo portare a termine il mio mandato e interromperlo sarebbe quanto meno inopportuno».
Lorenzo Salvia, Corriere Della Sera