Nonostante sia la patria del maggior numero di utenti internet al mondo, la Repubblica popolare ha politiche di utilizzo online più restrittive di Paesi come Iran e Siria
La Cina ha chiuso o revocato le licenze di 13.000 siti Web dal 2015 per aver violato le regole Internet del Paese, secondo quanto riferito dall’agenzia di stato Xinhua. Sono stati anche chiusi quasi 10 milioni di account per «violazione del protocollo di servizio», ha detto l’agenzia di stampa ufficiale, riferendosi agli account dei social media. «Queste mosse hanno un potente effetto deterrente», ha detto Wang Shengjun, vice presidente del Comitato permanente del National People’s Congress (NPC).
Nonostante sia la patria del maggior numero di utenti Internet al mondo, un rapporto del 2015 del think tank americano Freedom House ha rilevato che la Cina ha le politiche di utilizzo online più restrittive di 65 nazioni che ha studiato, classificandosi al di sotto dell’Iran e della Siria.
Solo quest’anno Pechino ha emanato nuove regole che impongono alle società tecnologiche straniere di archiviare i dati degli utenti all’interno del paese, imposto nuove restrizioni sui contenuti e ha reso sempre più difficile l’utilizzo di strumenti software che consentono agli utenti di eludere le censure. Google, Facebook, Twitter e The New York Times sono bloccati in Cina, tra innumerevoli altri siti Web stranieri. Pechino difende rigorosamente ciò che definisce «sovranità cibernetica» e sostiene che le sue varie forme di censura sul web – collettivamente conosciute come «Il grande firewall» – sono necessarie per proteggere la sicurezza nazionale.
In Cina i siti Web devono registrarsi presso le autorità e sono responsabili di «assicurare la legalità di qualsiasi informazione» pubblicata sulle loro piattaforme, in base alle normative vigenti dal 2000 e possono essere chiusi o multati.
Un modo per aggirare l’Internet nazionale strettamente controllato è utilizzare una rete privata virtuale (VPN) che può consentire agli utenti di accedere a Internet globale non filtrato. Ma anche qui le autorità vigilano. All’inizio di questa settimana, Wu Xiangyang della regione autonoma meridionale del Guangxi Zhuang è stato condannato a cinque anni e mezzo di carcere per aver venduto un servizio VPN su Taobao di Alibaba e altri mercati.
La Stampa