«In una discussione da bar raramente si raggiungono vertici di insolenza diretta che si raggiungono su Facebook». Lo afferma Stefano Cristante, sociologo di UniSalento. Professore, chi sono gli haters? «In un bar uno ci va col proprio corpo, sulla rete ci vai con un nome e un’immagine molto spesso non correlazionata al nome. Sei sostanzialmente anonimo o semi anonimo. Ti senti protetto dall’anonimato e ciò porta ad una liberazione degli istinti, ti rivolgi alla cosa che non ti piace con la stessa violenza con cui ti rivolgeresti da bambino ad un amico nel giardinetto sotto casa, azzuffandoti. È chiaro che non ci si può prendere fisicamente a botte in maniera digitale, è come se l’eccesso di parolacce sostituisse la rissa fisica. Questo è molto triste e non porta nessun cambiamento. Tra l’altro ingaggiare una lotta con una persona fortemente convinta delle idiozie che dice è inutile, Facebook non è uno strumento di condizionamento, è strumento di comunicazioni assertive. Un post lungo difficilmente viene letto. Basti pensare che il medium di riferimento in questo momento è Instagram, una foto e una didascalia». Cosa succede quando un personaggio viene preso di mira?
«Prendere di mira qualcuno è una cosa specifica, è un salto di qualità, il tentativo non è più insultare ma mettere alla berlina. In questo senso la stretta relazione c’è con molti format televisivi ormai esauriti ma ancora in atto, tipo “Le Iene” o per certi aspetti “La Gabbia”. Hanno abituato lo spettatore ad un giornalismo molto aggressivo, si potrebbe dire pseudo-giornalismo, che si trasferisce nelle persone più fragili e ambiziose: lo scopo è far scoppiare una sorta di scoop giornalistico. Nel giro delle citazioni e delle condivisioni, la speranza è quella di danneggiare una persona, generare una gogna mediatica. Una cosa triste e che diventa sempre più pericolosa. Tutti gli insulti che arrivano alla Boldrini, ad esempio, sono frutto di un indirizzamento di odio, si odia a prescindere perché è riuscita a farsi identificare da quattro o cinque stereotipi». Cosa si può fare per arginare il fenomeno? «Mi auguro che ci sia una percezione di ciò che avviene. La non distinzione tra sfera privata e sfera pubblica può provocare dei guai serissimi. Comportamenti completamente incivili sono figli di sovrapposizioni sbagliate tra pubblico e privato. Non c’è differenza tra postare dichiarazioni di antipatia per un leader politico, una canzone e poi se stessi completamente ubriachi, nello stesso periodo in cui, ad esempio, le aziende osservano i profili Facebook dei candidati. È preoccupante che la gente non si renda conto che lasciare un commento su una foto stupida significa creare un repertorio che potrà rimanere per molti anni. Una spinta repressiva non sarebbe una reazione intelligente, ma credo serva puntare tutto sull’auto-regolamentazione».
M. G. Fas., Nuovo quotidiano di Puglia