Quanto valgono per l’economia irlandese le attività di Google, Facebook, Microsoft, Apple e corporation assortite? Stando ai numeri, circa 85 miliardi di euro, cioè poco meno di un terzo del Prodotto interno lordo nazionale (Pil), pari a 275 miliardi. Peccato però che di “prodotto interno”, e di valore associato, ce ne sia davvero poco: e a dirlo, per una volta, non sono i soliti scettici no global, ma le stesse istituzioni del Paese. Il Central Statistic Office, centro di statistica nazionale, nel 2017 ha calcolato infatti un nuovo indice, chiamato Gross national income (GNI), traducibile con Guadagno nazionale lordo: un indicatore epurato dai profitti delle multinazionali, sia quelle che vendono cose immateriali come i big del digitale, sia quelle che in teoria producono beni fisici ma che in Irlanda hanno solo residenza fiscale e realizzano le merci altrove, quindi senza un reale impatto occupazionale o di indotto.
Lo scollamento tra l’economia reale e quella gonfiata dalla globalizzazione, insomma, è rilevante: il più alto tra le nazioni sviluppate, quelle che producono complessivamente il 97% della ricchezza mondiale. “Il Pil normalmente viene ritenuto un indicatore di reddito oltre che di produzione e sarebbe desiderabile che produzione e reddito fossero identificabili”, spiega Francesco Daveri, economista e docente di Politica economia all’Università Cattolica, già collaboratore della Commissione europea e della Banca Mondiale. “Nella maggior parte dei Paesi, quantomeno quelli grandi, la distinzione è generalmente irrilevante. Ma in una nazione piccola come l’Irlanda, dove il ruolo del capitale delle multinazionali è così importante, si pone un problema”.
La prosperità degli indicatori, insomma, non coincide con quella dei circa 5 milioni di cittadini, e il governo irlandese deve tenerne conto nel programmare la spesa sociale e ogni altra politica pubblica: da qui la necessità di affiancare alle stime calcolate secondo i modelli europei altre che restituiscano più fedelmente la situazione nazionale.
La decisione di calcolare il Guadagno nazionale lordo segue in effetti le polemiche suscitate nel 2015 dalla notizia che il Pil di Dublino fosse cresciuto del 26,5%, un record storico mondiale. Dietro, però, come subito indicarono in molti – e tra i più inclementi il premio Nobel Paul Krugman – c’era il doping delle corporation. E di un sistema fiscale che quasi quotidianamente finisce nel mirino di economisti, media e associazioni varie.
Tra ruling riservati (cioè accordi tra multinazionali e governo per stabilire ex ante la base imponibile di certe attività economiche, ovvero il valore su cui si calcoleranno le tasse), corporate tax al 12,5 e il cosiddetto “Double irish” con i sistemi di transfer pricing (ovvero il sistema che consente alle multinazionali un insieme di trasferimenti e vendite tra sussidiarie e holding con l’obiettivo di evitare il pagamento di dazi ma soprattutto di abbattere al minimo le tasse versate), l’Irlanda negli anni si è configurata come una sorta di paradiso offshore pur nei confini del Vecchio Continente.
Con il paradosso a tratti inverosimile di sottostare a una serie di indicazioni di Bruxelles – per esempio il rispetto dei parametri di Maastricht e del più recente fiscal compact – ma di generare al contempo una concorrenza sleale e parecchi squilibri nelle economie delle restanti nazioni Ue.
L’annuale relazione del ministero delle Finanze italiane su “Economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva” stima (prudentemente) per esempio in circa 31 miliardi la base imponibile evaporata dall’Italia nel solo 2015 (pari alla metà di tutta l’evasione societaria).
E l’Ocse, che lavora da tempo su soluzioni da proporre al G20 per arginare il fenomeno, ha calcolato che tra i 100 e i 200 miliardi all’anno svaniscano grazie ai sistemi transnazionali di transfer pricing, con danni particolarmente gravi sui Paesi in via di sviluppo.
“Il concetto chiave è come rivedere il concetto di organizzazione stabile, intorno al quale ruota il sistema corrente di tassazione: bisogna trovare un sistema per stabilire quando una società sta realmente operando in un Paese, ed è particolarmente difficile nel caso di beni immateriali come quelli delle corporaton digitali”, spiega ancora Daveri.
L’Irlanda ha recentemente lanciato un studio sul proprio sistema fiscale, per valutarne alcune distorsioni; pubblicamente, il nuovo primo ministro 39enne Leo Varadkar ha ammesso che dovrebbe essere ispirato a principi di equità: nei consessi multinazionali, però, il principio della sovranità sulle decisioni che riguardano tasse e fisco resta un totem inviolabile. E le multinazionali continuano a sguazzarci dentro.
“Sono loro che fanno girare il mondo: scoprire che non siamo capaci di misurarne l’impatto sull’economia fa molto paura”, conclude l’economista. “E tuttavia si tratta di un fenomeno nuovo: 20 anni fa, quando spiegavamo agli studenti la differenza tra produzione e reddito le lezioni erano noiose perché non se ne vedeva la reale applicazione. Ora è sotto i nostri occhi e siamo ottimisti: in qualche anno ancora sapremo come trattare la cosa”.
Gea Scancarello, Business Insider Italia