Vincent Bolloré, il patron del gruppo Vivendi-Havas, «il Pirata» (come l’ha definito in un’intervista al quotidiano Le Monde l’ex presidente François Hollande) non si è piegato neanche di fronte alle richieste della neo-ministra della Cultura, Françoise Nyssen che, attraverso i suoi capi di gabinetto (Marc Schwartz e Pierre-Emmanuel Lecerf), gli aveva comunicato l’intenzione di «mettre la juste rémuneration des auteurs et des créateurs au c r de mes priorités», di essere pronta, in sostanza, a difendere gli interessi degli artisti e dei collaboratori di Canal+ (e sono migliaia) a cui Pirata, da mesi, non paga i diritti (vedere ItaliaOggi del 26 maggio scorso) e che continuerà a non pagarli – come ha detto più volte – finché essi non accetteranno le sue condizioni, vale a dire un taglio compreso tra il 50 e l’80% del dovuto.
Bolloré non solo ha respinto sgarbatamente la mediazione ministeriale (ricordando ai due grand commis che il gruppo Vivendi-Canal+ già sostiene con più di 800 milioni di euro tra finanziamenti diretti e indiretti l’industria culturale francese, dalla produzione cinematografica alle fiction, facendo intendere di essere pronto a fare un passo indietro), ma ha lanciato una ben più pesante provocazione destinata ad avere pesanti strascichi giudiziari.
Durante i colloqui negli uffici di rue de Valois, sede del ministero, i due uomini di fiducia di Bolloré, incaricati della trattativa, il presidente di Canal+ Jean-Christophe Thiery e il direttore generale Maxim Saada (non c’era, per fortuna, il responsabile degli acquisti e dei rapporti con i fornitori, Michel Sibony, considerato il vero cost killer), hanno fatto sapere che Vivendi si preparava a chiedere un audit esterno sui bilanci delle società che gestiscono i diritti d’autore (insomma le diverse Siae francesi) «pour s’assurer que les auteurs récupèrent bien l’intégralité des sommes qui leur sont dues», per accertarsi che gli autori incassino dalle loro amministrazioni quanto loro dovuto.
Gettando, neanche tanto velatamente, il sospetto che potessero aver truccato i conti.
Immaginatevi le reazioni. La Sacd (Societé des auteurs et compositeurs dramatiques, la più antica, fondata da Beaumarchais nel 1777, prima della Rivoluzione, nell’ambito della Comédie Française, con 53 mila iscritti), la Scam (Societé civile des auteurs multimediatiques, 38 mila soci), l’Adagp (Association des auteurs graphiques et plastiques, la più numerosa con 130 mila iscritti), la Sacem (Société des auteurs et compositeurs et editeurs en musique, anch’essa secolare, fondata nel 1851); in una parola, tutte hanno risposto, indignate, che i loro bilanci sono già sottoposti al controllo annuale della Corte dei Conti e alle verifiche contabili di commissari ministeriali, annunciando querele. Insomma, il signor Bolloré dovrà rendere conto davanti a un Tribunale dei suoi «méthodes de voyous», che si traduce, letteralmente, in «metodi da mascalzone».
Il patron di Vivendi non s’è lasciato impressionare; diciamo che per lui frequentare i tribunali (vedi il caso Mediaset Premium con il ricorso e le denunce presentate dal gruppo Berlusconi) non è una novità. Del resto che avesse deciso di tagliare i 50 milioni di diritti dovuti ai suoi «fornitori artistici» l’aveva fatto intendere chiaramente durante l’evento più prestigioso dell’industria culturale francese, al Festival di Cannes di un paio di mesi fa.
«Debbo tagliare almeno 300 milioni di costi se no Canal+ va a rotoli» aveva detto sulla Croisette e tutti, allora, avevano applaudito il più grande finanziatore del cinema nazionale. Nessuno aveva sospettato che la cura dimagrante sarebbe cominciata dall’anello più debole della catena produttiva, gli autori che vivono di diritti.
I quali, finora, hanno incassato solo la solidarietà della nuova ministra della Cultura, una gentile signora che prima di arrivare a rue de Valois guidava una delle più raffinate case editrici francesi e, quindi, ha dimestichezza con gli autori e il sistema dei diritti. Purtroppo non è bastato per costringere Bolloré a pagare.
Italia Oggi