Nelle carte depositate con l’archiviazione dell’inchiesta sul presunto complotto ai danni di Claudio Descalzi, emerge la richiesta di Massimo Gaboardi di togliere il procedimento sulle tangenti nigeriane al pm milanese
“Conferma l’assegnazione del procedimento al dr. De Pasquale”. Firmato Francesco Greco. Con poche righe lo scorso 15 marzo il procuratore capo di Milano ha ribadito che l’inchiesta sulla presunta tangente da oltre un miliardo che Eni avrebbe versato per aggiudicarsi lo sfruttamento del giacimento nigeriano Opl245, giunta ora all’udienza preliminare, deve rimanere in mano al pm Fabio De Pasquale. Respingendo così il tentativo di togliergliela. Il documento è emerso dopo che il 20 marzo lo stesso De Pasquale ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sul presunto complotto ai danni dell’attuale amministratore delegato Claudio Descalzi nata a Trani, proseguita a Siracusa e trasferita dalla Cassazione per competenza a Milano.
Che il complotto potesse essere una polpetta avvelenata, lo si era capito fin da subito. Ma il calore con cui le procure di Trani prima e di Siracusa poi avevano agito per cercare prove ha contribuito ad alzare un polverone su chi veniva accusato di far parte della cospirazione. I consiglieri indipendenti, Luigi Zingales e Karina Litvack, sono finiti perfino nel registro degli indagati e con loro anche l’ex amministratore delegato di Saipem, Umberto Vergine. Ma è chiaro che non potevano essere loro i bersagli ultimi delle soffiate e degli anonimi spediti ai pm pugliesi, Capristo, Pesce e Savasta, e ai siciliani Giordano, Scavone e Longo.
In quei documenti si racconta che Zingales e Litvack avrebbero fatto parte di un complotto capeggiato dall’imprenditore Daniele Volpi in combutta con i servizi segreti nigeriani, che mirava a portare Umberto Vergine o Franco Bernabè (ex ad di Eni e di Telecom) alla guida del gruppo petrolifero al posto dell’attuale ad Claudio Descalzi. Per farlo sarebbero stati aiutati anche dal capo dell’ufficio legale di Telecom, Antonino Cusimano, dallo studio Cova e dall’avvocato Luca Santamaria. Le accuse sono cadute una dopo l’altra e De Pasquale ha addirittura indicato Massimo Gaboardi, un tecnico del settore petrolifero, come il presunto autore degli anonimi.
Gaboardi compare nell’inchiesta perché uno dei plichi spediti in procura contiene un nastro in cui è registrata la sua voce mentre parla con un interlocutore sconosciuto del presunto complotto. “Uno mandato da Volpi, un nigeriano – dice Gaboardi – hanno organizzato un casino insieme degli avvocati di Milano, ci sono avvocati che scrivono pezzi contro Descalzi poi li mandano al consigliere dell’Eni e questo ha lo scopo unicamente di fare il culo a Descalzi”. Lui stesso confeziona un Report (chiamato n.1) che, come ricostruisce De Pasquale, è una summa di tutti gli anonimi. Il documento non arriva a Trani, ma viene consegnato alla procura di Siracusa da un amico di Gaboardi, l’imprenditore Alessandro Ferraro.
Ferraro non è una persona qualunque, ma un collaboratore dell’avvocato Piero Amara, che in Eni conoscono bene, perché ha difeso la società nel processo Mare Rosso, imbastito proprio dalla procura di Siracusa. A ricevere il Report è il pm Longo, lo stesso che si accorda con la procura di Trani perché il procedimento venga trasferito nel siracusano, un territorio dove la presenza di Eni è sempre stata forte.
Prima del passaggio dell’inchiesta a Siracusa, i tre anonimi consegnati a Trani avevano comunque già ottenuto un primo risultato. Il 10 maggio 2015 i pm di Trani Capristo e Savasta dispongono un’acquisizione di atti presso l’Eni per analizzare i contenuti degli interventi di Zingales nel comitato di controllo. Due mesi dopo, Zingales, che si era opposto su come l’azienda gestiva gli affari in Africa e aveva osteggiato il capo dell’ufficio legale di Eni Massimo Mantovani, si dimette dal consiglio. Siracusa, invece, fa il resto. Perché l’8 luglio 2016, il pm Longo invia una informazione di garanzia, oltre che a Zingales e Vergine, anche a Karina Litvack. E quando le notizie del falso complotto escono sulla stampa, il consiglio di amministrazione di Eni, che non aveva mai trovato nessun impedimento a che Descalzi rimanesse in carica nonostante l’iscrizione nel registro degli indagati, decide di allontanare dal comitato controllo e rischi Litvack, che come consigliere aveva spesso affiancato Zingales nelle sue posizioni più critiche verso l’azienda.
Ma l’operazione di Siracusa ha un obiettivo ancora più alto. A maggio del 2016 entra in scena Vincenzo Armanna, il grande accusatore di Descalzi e Scaroni nell’inchiesta nigeriana incardinata a Milano. Una piccola agenzia di stampa di Roma, l’Agir, pubblica una notizia nella quale viene ricostruito lo scenario del complotto internazionale ai danni dei vertici Eni. Sempre nella notizia viene riportato che Armanna avrebbe rifiutato dei soldi per deporre contro Descalzi. E’ l’occasione per Armanna di farsi avanti a Siracusa: “Ill.mo Sig. Dott. Longo, ho appreso dalla lettura del lancio di Agir di offerte di denaro formulate al sottoscritto per rendere pubbliche informazioni riservate potenzialmente pregiudizievoli per Eni e per il dottor Descalzi. Essendo il fatto vero, anche se inizialmente da me sottovalutato, ed essendo in grado di riferire su ulteriori fatti e circostanze riguardanti il commercio di oro e pietre preziose in territorio di Siracusa e il coinvolgimento sia di personalità nigeriane sia di personalità italiane e svizzere ho ritenuto necessario contattarla. Sono a sua disposizione”.
Armanna inizia a far balenare l’ipotesi di essere stato usato dai complottisti, tra cui il suo ex avvocato Luca Santamaria, per destabilizzare Descalzi e prende contatti con Gaboardi. Armanna manda una mail all’avvocato di Gaboardi, Giuseppe Lipera, in cui chiede di poter accedere agli atti dell’inchiesta di Siracusa perché lo potrebbero riguardare e aiutarlo nel suo processo a Milano. Ma “per errore” vi allega in copia anche un’altra mail spedita al suo avvocato, Fabrizio Siggia. Errore voluto o no, quella mail è fondamentale per sferrare l’attacco al pm di Milano, Fabio De Pasquale. Attacco che sferrerà non Armanna direttamente, ma lo stesso Gaboardi.
“In questi due anni – si legge nel testo della mail -, gradualmente, è cresciuto, sempre più, in me il dubbio che, ogni volta che Luca si è fatto portatore delle ‘istanzè dei pm non pensasse alla mia difesa ma ai suoi interessi”. Sono le parole con cui Armanna associa il suo ex avvocato alla cospirazione ai danni di Descalzi. Ma si spinge oltre perché insinua che la decisione del pm di archiviare la sua posizione dipendeva da quanto avrebbe detto sulla conoscenza di Eni della tangente ai politici. Una sorta di “se accusi l’Eni, ti salvi”.
Questa mail che capita “per errore” all’avvocato di Gaboardi non viene depositata subito in procura, ma viene stranamente inviata da Lipera a Carlo Federico Grosso, nientemeno che l’avvocato dell’Eni. Sono i difensori del colosso petrolifero a depositarla per primi in procura a Milano il 6 marzo 2017. Una sorta di preambolo, perché quattro giorni dopo arriva “La richiesta di invito all’astensione per il Dott. Fabio De Pasquale”, presentata da Gaboardi e basata sulla mail di Armanna. “L’avvocato Luca Santamaria – recita il punto a) della richiesta – sarebbe stato latore di inviti provenienti dal Dott. De Pasquale ed inviati al sig. Vincenzo Armanna per convincerlo ad affermare di essere al corrente di condotte corruttive poste in essere dai signori Descalzi ed Armanna”. E su queste ricostruzioni Gaboardi invita De Pasquale ad astenersi dalla trattazione del procedimento penale 27050/16. Il cerchio degli anonimi iniziato a Trani, proseguita a Siracusa si chiude a Milano, ma qui non coglie nel segno. Il procuratore capo Francesco Greco respinge la richiesta al mittente: “la mail non appare fondata su elementi di fatto” e “il ruolo di De Pasquale appare comunque coerente con i doveri di un pm”.
di Valter Galbiati, La Repubblica