Si torna alle origini. Niente più nuovi prestiti ai cittadini, né cessione del quinto dello stipendio a tassi favorevoli per i dipendenti delle Poste, ma solo finanziamenti alle imprese, meglio se al Sud. È la Banca del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale targata Invitalia, che diventa così il gestore di tutti gli incentivi messi in campo per la crescita dal governo. Dopo l’intesa del 9 febbraio per acquistare a 390 milioni il 100% dell’istituto dalle Poste, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo dell’economia (così l’intero nome) del Tesoro si potenzia infatti e aumenta il perimetro, cioè la spinta agli incentivi per l’industria. In testa agli strumenti ci sono i contratti di sviluppo, per sostenere le grandi aziende che investono nelle aree svantaggiate: ne sono previsti 50 di nuovi entro metà giugno, ognuno da 15-20 milioni di euro per 100-150 imprese. Si aggiungono agli 87 già finanziati dal 2014, per tre miliardi di euro.
Il Fondo centrale e il portafoglio
Ma è il Fondo centrale di garanzia la vera novità. Consente alle imprese di ottenere prestiti agevolati dalle banche dietro garanzia pubblica ed è la dote più ricca portata da Bdm-Mcc, che finora lo ha gestito per conto del Tesoro. Un’altra eredità è la gestione del Contratto di ricerca, l’incentivo per i progetti di ricerca delle imprese medio-grandi. Con la Banca del Mezzogiorno in pancia, Invitalia aumenterà di molto l’erogazione di incentivi e garanzie alle imprese nel Paese (il portafoglio lievita subito da 1,4 a oltre 5 miliardi); i dipendenti del gruppo saliranno da 1.300 a 1.700. L’accordo con Poste si sta perfezionando in questi giorni. «Confidiamo che entro maggio l’acquisizione possa essere autorizzata — dice l’amministratore delegato Domenico Arcuri —. Diventiamo i titolari dell’intero portafoglio di offerta delle agevolazioni nazionali alle imprese in Italia».
Il «secondo livello»
È coerente con il piano industriale 2017-2019 di Invitalia e per la travagliata (ma redditizia) Banca del Mezzogiorno è un altro cambio di passo. «Andrà riconfigurata come banca di secondo livello, sempre senza sportelli — dice Arcuri —. Fu pensata così e crediamo che debba finalmente diventarlo. Inoltre, di nuovo in coerenza con come era stata pensata, non erogherà più prestiti retail». Bdm stringerà dunque accordi con le banche di primo livello, che hanno una rete di agenzie. Una combinazione di finanza pubblica e di mercato. Il portafoglio retail potrà essere tenuto fino a esaurimento.
La nemesi
È una nemesi per la Banca del Mezzogiorno, voluta nel 2011 da Giulio Tremonti, innestata sul Mediocredito Centrale finito a Unicredit, prima pensata come «Mediobanca del Sud» e poi sviluppata come erogatore di credito anche ai privati dalle Poste nella gestione Sarmi, ritenuta infine meno strategica per le Poste quotate da Francesco Caio. Che d’accordo con il nuovo azionista, Cassa depositi e prestiti, ora l’ha venduta. «Il sostegno alle imprese potrà essere meglio integrato e questo potrà avere effetti moltiplicativi sul Pil, troveremo con calma ma tenacia un modo per dare ulteriore contributo alla crescita», dice Arcuri. E tira il bilancio degli ultimi due anni.
L’attività
Nel 2015-2016, da statistiche interne, Invitalia ha concesso finanziamenti per 3,1 miliardi a 15.116 aziende (45 grandi e 15.071 Pmi) che con questi incentivi hanno attivato investimenti per 3,9 miliardi (l’80% al Sud) e generato 24.522 posti di lavoro. Fra i grandi contratti di sviluppo del biennio c’è Ferrarelle che ha investito 34 milioni a Caserta, Ge Avio, Natuzzi; prima ancora c’erano state Vodafone, Rolls Royce, Kimbo, Unilever nella terra dei fuochi. Poi ci sono stati i soldi per l’autoimpiego, le nuove imprese a tasso zero, il rilancio delle aree industriali, la ricostruzione dell’Emilia Romagna, i restauri a Taranto e la bonifica in corso a Bagnoli. Ora in cantiere c’è la costituzione di un Fondo italiano per lo sviluppo, per accelerare l’utilizzo dei soldi Ue, anche del piano Juncker.
Alessandra Patuo, il Corriere della Sera