Ha un chip autoalimentato da una microbatteria, attivabile con un’app da smartphone o tablet per effettuare una neurostimolazione delle terminazioni nervose
Dopo Cefaly, il dispositivo antiemicranico che sembra un fermacapelli e Gammacore, una sorta di rasoio da strisciare lungo il collo per stroncare gli attacchi, arriva adesso Nerivio che, proseguendo lungo la strada della miniaturizzazione degli stimolatori antiemicranici esterni, si fa ancor più comodo e addirittura invisibile, inaugurando nella cura del mal di testa la via della cosiddetta wearable technology, la tecnologia “da indossare”, che comprende smartwatch, anelli, braccialetti, occhiali intelligenti di visione aumentata, guanti per il tatto virtuale, tutti accessori dotati di moderni microprocessori interni. In questo caso si tratta di un cerotto ingegnerizzato con un chip autoalimentato da una microbatteria, attivabile con un’app via wireless da smartphone o tablet per effettuare una neurostimolazione delle terminazioni nervose sottocute e alleviare il dolore. La casa produttrice lo presenta come il metodo più discreto per combattere l’emicrania, adatto a tutti, in qualsiasi situazione e in ogni momento, ma il merito di aver aperto la strada alla neurostimolazione esterna va certamente a Cefaly e Gammacore che ci hanno liberato dall’invasività della neurostimolazione classica che richiedeva veri e propri interventi neurochirurgici per il posizionamento di microelettrodi nelle aree cerebrali responsabili dello scatenamento degli attacchi che venivano acquietate tramite mini-impulsi elettrici.
La neurostimolazione classica
Va comunque riconosciuto che la neurostimolazione classica ha permesso di affrontare situazioni cliniche irrecuperabili come la cefalea a grappolo cronica farmacoresistente, tristemente nota come mal di testa da suicidio, risolta nel 2000 per la prima volta al mondo all’Istituto Besta di Milano dal gruppo diretto da Gennaro Bussone con la stimolazione cerebrale profonda, in sigla DBS, cioè deep brain stimulation. Dal punto di vista dell’invasività, la successiva stimolazione vagale VNS è stata una via di mezzo perché sfruttava il nervo vago in transito nel collo come un’autostrada verso il cervello per inviare gli impulsi senza bisogno che il neurochirurgo “aprisse la testa” per posizionare gli elettrodi stimolatori. Anche la TMS, la stimolazione transmagnetica, sfruttando impulsi magnetici anziché elettrici, non richiedeva interventi, ma la sua precisione era inferiore a quella elettrica. È nel 2013 che l’arrivo dei primi due stimolatori esterni apre una nuova era simile a quella verificatasi nell’informatica, passando dalle connessioni via cavo a quelle wireless. Alla praticità d’impiego di questi strumenti, corroborata da studi che ne hanno confermato l’efficacia sia nel trattamento acuto che nella prevenzione, si è opposto soprattutto il costo elevato rimasto a carico dei pazienti: non trattandosi di farmaci, il Servizio sanitario nazionale non né ha infatti ancora consentito la rimborsabilità.
Maggiore discrezione
Una carta giocata dalle aziende produttrici per ovviare a questo handicap economico è stata quella di migliorarne la comodità d’uso, ispirandosi agli studi che indicavano come i cosiddetti farmaci easy-to-use (cioè facili da usare), come per esempio quelli da sciogliere in bocca, influenzino positivamente le scelte dei pazienti: rendere anche il device sempre più easy e meno ingombrante poteva forse allargarne l’impiego. Pochi mesi fa Cefaly è infatti corso ai ripari trasformandosi da cerchietto fermacapelli in un più discreto diadema da appiccicare sulla fronte con una piccola ventosa. L’ideale sembra essere un trattamento che, come recitava in uno spot di Carosello per un vecchio digestivo l’indimenticato Nicola Arigliano, «è così comodo che si può prendere anche in tram», un aspetto che ha spinto alla realizzazione degli antiemicranici masticabili che abbinano comodità d’uso, minori effetti collaterali gastrici e rapidità d’efficacia perché entrano prima in circolo. Nerivio è discreto, non invasivo e di gran praticità, tanto che si può usare anche in tram o in aereo, come sottolineano i suoi produttori, anche se nessuno considera che l’assenza di un campo efficace potrebbe limitarne l’uso. Ma il punto più debole sembra essere la sua carenza dal punto di vista clinico: dopo una fugace presentazione alla World Institute of Pain Conference di New York dell’anno scorso e alla IASP di Yokoama, il primo studio davvero importante viene pubblicato solo il 1° marzo sulla prestigiosa rivista Neurology da David Yarnitsky dell’Università israeliana di Haifa che in 71 pazienti che avevano da 2 a 8 attacchi di emicrania al mese riporta almeno un dimezzamento del dolore nel 64% dei casi a due ore dall’attivazione del dispositivo, soprattutto se l’accensione era fatta alle prime avvisaglie dell’attacco, cioè 20 minuti prima dell’arrivo del dolore. Il confronto con chi ha funto da controllo ricevendo solo una falsa stimolazione non lascerebbe dubbi: 34% di efficacia in meno, tant’è che Yarnitsky si è sbilanciato a dire che Nerivio ottiene risultati simili a quelli dei famosi triptani, da vent’anni i farmaci di riferimento per questa malattia.
I punti ancora da chiarire
A parte il fatto che un solo studio, per quanto corretto, non è sufficiente ad affermare che questo device, prodotto peraltro dall’azienda israeliana Theranica dove Yarnitsky è anche consulente medico, sia davvero la soluzione finale con un’efficacia simile ai migliori farmaci e senza i loro effetti collaterali, un altro punto da chiarire è il meccanismo d’azione ipotizzato per spiegarne il funzionamento, tutto ancora da dimostrare. Se il razionale dell’effetto degli stimolatori finora usati è abbastanza lineare con un’azione diretta su precise vie e centri nervosi, l’azione di Nerivio sarebbe indiretta, in un certo simile a quella dell’agopuntura: un effetto inibitorio sulle cosiddette fibre nervose C. Se l’agopuntura è aspecifica, nel senso che possiamo pungere ogni punto del corpo per innescare questo effetto, Nerivio agirebbe direttamente sui neuroni trigeminali che i più recenti studi hanno dimostrato essere alla base del dolore emicranico. Questo effetto è chiamato DNIC, sigla di diffuse noxious inhibitory control, cioè controllo diffuso di inibizione del dolore e si riferisce a un sistema di fibre che dai centri cerebrali superiori scendono a inibire quelli dei più bassi nuclei nervosi da cui origina la sensazione dolorifica, primo fra tutti quello trigeminale. Definito dagli studiosi “il dolore che blocca il dolore”, il fenomeno del DNIC era già noto a Ippocrate che lo illustrava con l’aforisma «se avete contemporaneamente due dolori in due diverse parti del corpo, il dolore più forte tacita l’altro». Oggi sappiamo perché: gli stimoli dolorosi che partono dalle fibre C dei neuroni periferici sono inviati ai centri cerebrali superiori del dolore. Per tutta risposta questi, allo scopo di non farci soccombere alla spiacevole sensazione, attivano il sistema DNIC, che blocca lo stimolo doloroso iniziale a seconda della sua intensità, durata e zona di provenienza, sicché il dolore finale che percepiamo è una sommatoria di tutte queste azioni e noi non sentiamo mai davvero tutto il dolore che dovremmo sentire. Forse negli emicranici questo sistema di salvaguardia è difettoso, ma Nerivio sarebbe capace di attivare il sistema DNIC, bloccando il dolore direttamente alla fonte.
Cesare Peccarisi, il Corriere della Sera