La stampa tedesca dedica ampio spazio alle indiscrezioni sull’accordo con i francesi di PSA. Potrebbero essere 6.000 i lavoratori Opel a rischio nel Paese
La Germania è “preoccupata”. Nel comparto auto, l’industria nazionale è abituata a vendere veicoli, non marchi. E anche se Opel appartiene all’americana General Motors dal 1929, il paese lo sente come un brand nazionale: la società era nata nel 1862 per fabbricare macchine da cucire, dal 1886 aveva prodotto anche biciclette e aveva cominciato a vendere auto nel 1898. Ne sanno qualcosa Fiat e Sergio Marchionne, che quando anni fa avevano ipotizzato di rilevare Opel si erano trovati di fronte il “gelo governativo”. All’epoca, tuttavia, la manovra era di dominio pubblico. E, infatti, anche pubblicamente era stata osteggiata.
Questa volta General Motors ha agito con prudenza, tanto che quando, pochi giorni fa, sono uscite le prime indiscrezioni sulla possibile vendita del marchio Opel al gruppo francese PSA (Peugeot, Citroen, DS), si sono infuriati i sindacati. Pure la neo ministra dell’economia Brigitte Zypries, in carica da appena qualche settimana, ha usato toni forti.
La ragione è semplice: la Germania ha paura. Secondo i media tedeschi, che all’argomento dedicano ampio spazio su tutte le principali testate e in tv, il Paese teme che l’acquisizione da parte di Groupe PSA possa incidere sull’occupazione tedesca. Operazioni analoghe sono state sempre accompagnate da poderose “razionalizzazioni”. General Motors, che con la controllata europea Opel (Vauxhall nel Regno Unito) è in rosso dal 1999, ha già ristrutturato la casa del Fulmine negli anni scorsi imponendo la chiusura del sito di Bochum. Gli occupati europei sono attualmente 38.000 e sono distribuiti in sette paesi, ma circa la metà sono concentrati in Germania. Nella sola Rüsselsheim, dove si trova il quartier generale di Opel, si contano 15.000 addetti, 7.000 dei quali nel centro di Ricerca & Sviluppo.
Secondo gli analisti consultati da Welt , un terzo delle posizioni tedesche (6.000 persone) è a rischio. Il “sacrificio” più importante verrebbe inevitabilmente chiesto a Rüsselsheim, in particolare in divisione come R&D (un “doppione” rispetto a quello francese). A quanto pare, PSA non ha fornito garanzie sull’occupazione nemmeno al “mediatore” del governo. Il gruppo francese, di cui lo stato è azionista, dovrebbe mettere sul tavolo due miliardi, la metà dei quali sarebbero a titolo di subentro dei debiti. Poi ci sono gli obblighi previdenziali, stimati complessivamente tra i 6 ed i 7,2 miliardi. L’accordo dovrebbe essere firmato prima del Salone di Ginevra, ma nelle ultime ore c’è chi ipotizza una conclusione ancora più veloce. Carlos Tavares, che aveva lasciato l’Alleanza Renault Nissan a quanto pare in disaccordo con Carlos Ghosn, rilancerebbe così un gruppo che era in grandissima difficoltà trasformandolo nel secondo a livello continentale.
La Germania e la sua classe politica avrebbe fatto volentieri a meno di questa acquisizione lampo: una “grana” nell’anno in cui si vota anche per il rinnovo del Bundestag, il parlamento federale tedesco.
di Mattia Eccheli, La Stampa