Era il novembre del 1956, un ragazzetto vivace e intraprendente, studente al ginnasio, “Andrea Doria” di Genova, si emozionò assistendo alla televisione alla brutale invasione dell’Armata Rossa in Ungheria. I carri armati sovietici entrarono a Budapest e non ebbero difficoltà a reprimere la generosa, ingenua, debole insurrezione contro la dittatura di Mosca.
Quel ragazzetto ero io… Avevo quattordici anni e, fin da bambino, così mi dicevano i miei genitori, rispetto ai giochi abituali dell’infanzia preferivo inventare prime pagine di giornali, con i titoli, qualche disegno e un po’ di parole, credo a vanvera. Il mio genere preferito era il calcio, inventavo partite immaginarie, il mio Genoa vinceva sempre, disegnavo goal irresistibili segnati dai rossoblù, stilavo classifiche, scimmiottavo i giornali sportivi. Sia pure con vocazione iniziale per lo sport, avevo nel sangue una certa vocazione per il giornalismo: di fronte allo spettacolo, amaro, dell’invasione sovietica, scrissi una lettera e la indirizzai a “Il Corriere mercantile”, che aveva la sede a fianco della scuola.
Immaginavo, cioè desideravo, che potesse essere pubblicata nella rubrica delle lettere.
Invece, ebbi la sorpresa di trovare un bel titolone e il pezzo impaginato con rilievo. Trascorse qualche anno, prima che riuscissi a capire che le mie riflessioni non avevano l’importanza e il valore che orgogliosamente attribuivo loro: “Il Corriere mercantile” era un giornale con una linea politica di destra e, intuibilmente, alla redazione non era parso vero che un ragazzetto del ginnasio si emozionasse, turbasse e scandalizzasse, di fronte all’orribile atto di prepotenza sovietica.
Fatto sta che la mia carriera nei giornali cominciò in quei giorni: il capocronista mi chiamò, mi invitò in redazione e mi propose di cominciare a collaborare. Erano cose noiosissime, conferenze di politici locali, spunti di cronaca bianca, roba che nessun giornalista si degnava di seguire. Comunque sia, quello fu il debutto e (mi ispiro a Celentano), passano gli anni, ma sessanta son lunghi. Scrissi quei futili pezzetti su “Il Corriere mercantile”, poi non ricordo perché mi avvicinai a un quotidiano cattolico, “Il Nuovo cittadino”, diretto da un carismatico sacerdote, Luigi Andrianopoli.
Il mio decollo vero avvenne due tre anni dopo, quando Antonio Ghirelli, che dirigeva “Tuttosport”, rispose nobilmente a una mia lettera (e daje), in questo caso molto impertinente e critica verso il suo giornale. Il retroscena è che mio padre, accanito tifoso juventino, odiava la politica e, in genere, la stampa e il giornalismo, però acquistava ogni giorno quel quotidiano sportivo, considerato da tutti sostenitore e fiancheggiatore della Juventus.
È un ricordo stupendo. Quando nacque, nonostante la differenza di età, una forte amicizia, Antonio mi raccontò che la segretaria nel consegnargli la posta, gli disse: “C’è un giovanotto che scrive da Genova una lettera maleducata, piena di critiche e di insolenze. Stavo per buttarla…”. Ghirelli le rispose: “Ma perché? Finalmente qualcuno che probabilmente mi scrive cose intelligenti! Dammela subito…”. Antonio lesse, si divertì e mi rispose con una lettera che cominciava in un modo per me indimenticabile: “Caro Lanza, sta proprio nel ricevere lettere coma la sua, l’aspetto più interessante ed emozionante del nostro mestiere…”. Seguivano osservazioni, in parte di consenso, in parte repliche alla mia impietosa analisi. Dopodiché mi arruolò come collaboratore, e da lì cominciò la vera carriera.
Per me, Ghirelli fu un secondo padre: credo di aver conservato, e spero di trovarle da qualche parte, almeno un centinaio di lettere, una fitta corrispondenza tra me e lui. Il mio padre biologico non gradì affatto, forse per una punta di gelosia, ma soprattutto perché detestava i giornalisti e sognava che io, dopo la fine degli studi e la laurea, che non ho mai perseguito, mi sistemassi al suo posto, così all’epoca si usava, in un buon impiego fisso, al Banco di Sicilia. Nulla di più lontano dai miei sogni e dalle mie ambizioni!
Finì che entrammo in lotta di collisione, e me ne andai, a diciassette anni, da casa.
Non vorrei autocelebrarmi più di tanto, finii a Cosenza, curavo le pagine locali de “Il Tempo”, poi tornai a Genova, poi negli anni sessanta Ghirelli mi assunse, con un regolare contratto, a “Il Corriere dello Sport”. Ebbi all’inizio una carriera lampo, passai a Genova a “Il Secolo XIX” diretto dal secondo mio maestro e mentore, Piero Ottone. Lo sostituii di fatto, quando Pierino passò a dirigere “Il Corriere della Sera”: facciamola corta, ho diretto alcuni giornali, ho scoperto e assunto giovanissimi giornalisti in pantaloni corti, intuendone il talento (quasi tutti sono diventati grandi firme e direttori importanti), poi la televisione per una quindicina di anni, i programmi popolari come le domeniche di Rai e Canale 5, tre “Festival di Sanremo”, un film – ahimè, uno solo – incentrato sul diritto all’eutanasia, “La perfezionista”, un po’ di teatro, tanti libri. Direi, un carattere eclettico, senza livelli di eccellenza, ma insomma ne ho fatte e viste di tutti i colori. Come eclettico, so bene di essere considerato da coloro che eclettici non sono, ma hanno sfondato genialmente in specifici settori – scienziati e cattedratici, giuristi e scrittori di vaglia -, un imbecille. Però gli eclettici sono tanti, sono in buona compagnia, e un giorno medito di scrivere qualcosa su questa categoria, troppo spesso non apprezzata.
Sono sessant’anni di giornalismo, al momento in cui scrivo non so se accetterò di festeggiarli in qualche modo, queste cerimonie hanno un sapore quasi sempre necrologico, che ovviamente non mi piace.
Il mio sessantesimo anniversario di giornalismo coincide con il decimo compleanno di una società editrice, piccola e indipendente, che fondai non solo per curiosità e spirito di avventura, ma soprattutto perché faccio fatica a
lavorare sotto padrone e preferisco gestirmi con indipendenza assoluta. Così sono nati i siti sul web, in primis www.lamescolanza.com, tanti altri, in particolare vorrei citare quello a cui sono più affezionato e che lo considero un diario schietto e crudo, www.cesarelanza.com: scrivo dal lunedì al venerdì qualsiasi cosa mi passi per la testa. Così è nata questa rivista, “L’attimo fuggente”, in cui vengono proposte, in modo sintetico, pagelle, voti e giudizi sulle più disparate categorie. Se avessimo risorse economiche importanti, ne farei volentieri un giornale a diffusione nazionale: è una mia fissazione da sempre, ma non sono certo io l’inventore delle classifiche e delle pagelle. Fu un grande giornalista nazional popolare, Nino Nutrizio, che dirigeva “La Notte” e inventò i pallini e gli asterischi per valutare e proporre i film, in un’apposita pagina.
Penso che classifiche, pagelle, giudizi sintetici, siano divulgativi e significativi: senza tante chiacchiere, senza editoriali, senza pasticci da azzeccagarbugli, trasmettono a chi legge, in modo preciso, le valutazioni dei personaggi e delle personcine che abbiano un ruolo nella vita pubblica.
Vado per i settantacinque anni, ho qualche rimpianto. Uno è quello di non essere mai arrivato a dirigere quello che in gergo definiamo un giornalone, “Il Corriere della Sera”, piuttosto che “La Repubblica”, piuttosto che un telegiornale. La ragione? In gran parte i miei limiti professionali, però temo anche in piccola parte, ma decisiva, il mio caratteraccio che mi ha spinto a scrivere in modo sgradevole di tutto e di più, facendomi litigare con amici e nemici. Altro rimpianto è quello di aver dedicato tutta la vita, per necessità e doveri familiari (due mogli, cinque figli..), a un lavoro, a volte redditizio, che però non mi soddisfaceva. Ricordo spesso che mia madre mi ripeteva di non sposarmi mai e di non mettere al mondo figli, considerava l’umanità – non a torto, direi – destinata all’infelicità. Inseguendo gli attimi fuggenti, ho fatto tutto il contrario. E non mi pento. Però, un altro rimpianto è che esiste, mal organizzato, un movimento di opinione, “Socrate”, che ho fondato con l’intento di dare valore a una parola sempre più desueta, il merito, un movimento senza fine di lucro che possa sostenere i giusti diritti di tanti nostri giovani talentuosi. E così vengo alla mia ultima malefatta, o se preferite, vi prego, benfatta impertinenza, che sostengo da qualche settimana: alcuni grandi vecchi del mondo dello spettacolo (ma lo stesso vale per ogni altro settore della nostra vita quotidiana), farebbero bene a ritirarsi, a lasciarci ricordi piacevoli del loro successo anziché obbligarci a presenze spesso patetiche e di scarso interesse.
Naturalmente, ho fatto nomi e cognomi: Celentano e Mina, ad esempio, per il loro inutile album; Pippo Baudo, Maurizio Costanzo, Michele Santoro, Giovanni Minoli e tanti altri che, forse compulsivamente, insistono a occupare il video… “Socrate” è fragile, non è strutturato come meriterebbe, non riesco a dare ai giovani, e comunque a chi abbia merito, il sostegno che mi piacerebbe proporre. Mi impegnerò a fare qualche passo avanti, ma più che sulle mie forze fisicamente decadenti, confido sulla presenza del mio affezionato collaboratore da trent’anni, e adesso socio, Antonio Eustor. È lui che organizza, vigila sulle mie debolezze, promuove qualche cosa buona che riusciamo a fare. È giusto che condivida con me qualche successo, e anche gli inevitabili errori.