di Cesare Lanza
Scommettiamo che nelle grandi aziende, dove fino a ieri più o meno tutti erano schierati sull’attenti nei riguardi del renzismo, ci sarà una corsa al cosiddetto «riposizionamento»? Una folla pirotecnica, una corsa confusa, già in atto da domenica notte: indecisi o irriducibili, prudenti e paurosi o temerari e spavaldi, nonché i machiavellici, attenti agli enigmi della politica, e i pragmatici affezionati all’inguaribile linea Franza o Spagna, basta che se magna». Alla radice ci sono il grande dubbio, i quiz del post voto: Matteo Renzi si dimette davvero dal governo o è una melliflua finzione tattica? E nel partito sarà sbattuto in un angolo o riuscirà a resistere? Sarà ancora il «padrone» di riferimento per le nomine e le promozioni o sarà sostituito? E da chi? Domande cruciali non solo alla Rai (in particolare) e a Finmeccanica, a Eni ed Enel, a Ferrovie e Alitalia, ma in tutte le aziende obbligate a regolare i rapporti col governo in carica. In Rai, da sempre, il fiuto è ineguagliabile. Vi confido un ricordo divertente. Tre anni fa ero a Sanremo per il Festival, invitato a un popolare programma pomeridiano. La corsa di Renzi verso Palazzo Chigi era evidente, ma tutt’altro che compiuta. Ebbene, perfino gli specialisti di canzonette già celebravano il trionfo di Matteo. Al punto che a un certo punto esclamai: «E che diavolo! Almeno aspettate che arrivi al governo…». E ho due convinzioni: la prima è che i tassisti siano impareggiabili nel capire cosa vuole la gente; la seconda, in Rai (non solo ai vertici ma anche nei corridoi), sono ineguagliabili nel capire chi sarà il vincente di turno.
Cesare Lanza, La Verità