Punta, mezza punta o estemo? Il giovane attaccante sotto il Vesuvio stenta a trovare un’identità. E nonostante sia tornato al gol, il destino pare già segnato: sarà un addio
di CESARE LANZA
Essere o non essere, questo é il problema. C’è un calciatore italiano, un giovane che tra un mese compirà venticinque anni, che vive il dramma di Amleto. Manolo Gabbiadini! Gioca – quando gioca – nel Napoli, è alto e magro, il volto sempre oscurato dalla sofferenza del dubbio: anche il sorriso triste ricorda quello del protagonista di Shakespeare, nell’approccio alla vita. Napoli è una capitale del teatro, chiudo gli occhi e, attento come cerco sempre di fare, a sdrammatizzare, mi piacerebbe vederlo in scena, Manolo, impegnato in quel celebre monologo. «Essere o non essere, questo é il dilemma, se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna, o prendere le armi contro un muro di affanni». Nel campionato di calcio, spesso esagerato e grottesco, l’oltraggiosa sfortuna di Gabbiadini è di aver trovato nella sua ancora incompiuta carriera due allenatori, il sussiegoso Rafa Benitez e poi il tosto Maurizio Sarri, entrambi malcerti e privi di autentica fiducia nelle sue qualità. Eppure Manolo era esploso, come si scrive nelle cronache sportive, segnalandosi nella Sampdoria come il più promettente, tra i giovani, attaccante italiano. E Cesare Prandelli, con insolito per lui decisionismo, lo aveva fatto addirittura esordire in Nazionale. Come punta centrale. E proprio questo é lo struggente tarlo del dubbio. Cos’è, Gabbiadini, nel gioco del calcio? Allenatori, giornalisti, familiari e amici, compagni di squadra, tifosi competenti e quelli da chiacchiere nel bar si confrontano e azzannano per sciogliere un delicato trilemma: é una punta, una mezza punta o un esterno di fascia? Povero figlio! Per lui, il dilemma amletico del principe di Danimarca: sono o non sono? Per gli allenatori e l’affollata platea calcistica, un trilemma addirittura: infine chi sei, cosa sei, questo, quello o quest’altro? Ahimè, tormentato dalle proprie e dalle altrui insicurezze, Gabbiadini è giunto al Napoli e ha lottato dapprima con malinconica passione per imporsi in ciò che dovunque, alla fine, si chiede a un attaccante: fare gol o, come si dice diffusamente con metafora vagamente erotica, metterla dentro. Ebbene, venti gol in due anni non sono stati né tanti né pochi; di certo non hanno risolto il quiz. Ed ecco che quest’anno, per quasi cento irrinunciabili milioni, se ne va Higuain: il leggendario, il mitico, il favoloso goleador argentino che ha battuto ogni record di segnature, grazie alle sue virtù ma anche all’allenatore e a una squadra impostata assolutamente su di lui. Ecco una prima stupenda occasione, per Gabbiadini! Ma il presidente, lo scaltro De Laurentis, e l’allenatore, quel tosto toscano, non si fidano. E importano un apprezzabile polacco, Arkadiusz Milik, anche lui in cerca di gloria. Cosi Manolo gioca e non gioca, convince e non convince, segna e non segna, provoca e spegne i dubbi, e poi li ripropone. Milik fa assai meglio di lui. Mentre Sarri, che tutto è tranne che amletico, con la tranquilla follia di chi pensa di aver inventato il calcio, impone alla sua squadra di giocare come se Higuain ancora ci fosse. La squadra con disciplina esegue. Ma Milik non é il Pipita, e ancor meno Gabbiadini, che il Pipita, giurerei, se lo sogna anche di notte. Risultato: il giovane malinconico è sempre più Amleto e il Napoli sprofonda in una crisi senza precedenti (nelle ultime, gloriose stagioni). I dardi dell’oltraggiosa sorte colpiscono l’intero club. Milik é vittima di un brutto infortunio e starà fuori fino a primavera. Si era fatto, tra i possibili acquisti, il nome di Leardi. Poi quello di Kalinic. Niente di niente… Ormai siamo a tre consecutive sconfitte, la squadra doveva consolidarsi come la più affidabile antagonista della Juventus, invece ha ceduto alla Roma, (Neanche la Roma è affidabile. Un suo tifoso mi ha detto: «Abbiamo appena battuto il Napoli e pensavamo di aver fatto chissà cosa. Poi arriva un Besiktas qualsiasi e vince come noi!»). Per Gabbiadini dovrebbe scattare una seconda grande opportunità. Macché: neanche con Milik in infermeria, arriva quell’agognato momento,
Sarri, duro come uno spaghetto crudo e senza pummarola ‘n coppa, lo tiene in panchina. Poi finalmente Gabbiadini entra, siamo alla cronaca recente, e lo azzecca, un gol importante, ma il Napoli perde. I confini tra commedia e dramma, come spesso succede nella capitale del teatro, diventano sempre più esigui, a metà strada tra il monologo dì Shakespeare e gli esami che non finiscono mai, di Eduardo. Come finirà? Manolo ha un agente protettivo, che già una volta si è sfogato: «Se Gabbiadini dev’essere un problema, siamo pronti a togliere il disturbo». E così sarà, presumo, con soddisfazione e sollievo di tutti.
di Cesare Lanza, La Verità