La pianta dell’ulivo “liquor” di cibo (come dice Dante), è simbolo della tradizione cristiana (lo si usa nei sacri riti del Battesimo e della Cresima, dell’Estrema Unzione), porta quiete e dolcezza (“placido, pallido ulivo”) e dà il senso dell’eternità (“E allora i discendenti, anche lontani, prenderanno un poco d’olio degli ulivi che noi abbiamo piantato”, scrive Pascoli). E tante sarebbero ancora le citazioni poetiche e le intere poesie dedicate all’“Albero amico” (Sofocle). Preservarlo e curarlo è un atto di rispetto non solo per l’ambiente, ma anche per cultura e tradizioni.
L’ulivo, una pianta sempreverde, una pianta secolare (quegli “alberi sacri”, “alberi insigni” li chiama D’Annunzio), fa da sfondo al paesaggio di tutto il bacino del Mediterraneo, compreso quello italiano da sud a nord. In Puglia molti ulivi hanno una caratteristica: secolarità e monumentalità e una legge, la 14/2007, tutelava e valorizzava il bellissimo paesaggio di queste piante plurisecolari, con dimensioni del tronco con diametro uguale o superiore a centimetri 100 e l’accertato valore storico–antropologico. E tutti avevano un codice di identificazione univoco. Poi le modifiche alla legge nell’aprile 2013 permettevano di espiantare gli ulivi monumentali per nuovi fabbricati, nuove strade, aree ad uso collettivo. E ancora una nuova modifica del 18 ottobre 2013 imposta dall’UE attivava “Misure di emergenza per la prevenzione, il controllo e la eradicazione del batterio da quarantena Xylella fastidiosa associato al Complesso del disseccamento rapido dell’olivo”. Così passava la ruspa fra il dolore degli abitanti e una terra ferita, e molte delle piante venivano abbattute.
Ma questo non ha fermato per fortuna la grande produzione di olio extra vergine di oliva pugliese, che per buongustai e intenditori è un vero e proprio nettare degli dei. Mal pubblicizzato, rispetto per esempio all’olio toscano o ligure, è finito da qualche anno sulle tavole degli italiani, e sta acquistando sempre più i dovuti apprezzamenti. La qualità più prelibata è l’oliva coratina, una delle migliori d’Europa, quella che nasce a Corato un paese nella provincia di Bari, non bello, ma ricco sia di industrie che di terre e dove ancora la gran parte degli abitanti vive dei prodotti della terra.
A Corato fuori dal centro abitato esiste un frantoio con la molitura a freddo ovvero con l’impianto a vecchio sistema tradizionale, l’unico in paese – e ormai ne sono rimasti pochi in tutta Italia – perché ha un procedimento che costa troppo e ci vuole più tempo per ottenere l’olio. Appartiene ad Alfonso Malcangi: “Dio mi dà fortuna e salute a questa età, però la mia coscienza è pulita e trasparente per tutti. Sono quarantatre anni oleari che ho”. Malcangi è un piccolo signore anziano con la coppola in testa, che usa espressioni e lingua dialettale, ed è un piacere sentirlo, perché si assaporano le radici e le tradizioni di una terra e di quasi un secolo, e si comprende forse in senso più profondo e colorato il procedimento di lavorazione dell’olio. Sono quarantatre anni che Malcangi con il suo frantoio trasforma le olive in olio: tutti hanno un pezzetto di terreno in paese, “i terreni li abbiamo sempre ereditati, e chi può li estende sempre più per lasciarli ai figli”, “tutti producono l’olio anche solo per loro stessi”. Sono pochi anni che l’oliva coratina si conosce e si è sparsa la voce della sua bontà. “Sono state le donne ad accorgersi della bontà dell’olio, perché loro cucinano. L’olio della coratina è denso, saporito e profumato. Olio fruttato con retrogusto leggermente amaro per l’alta concentrazione di oleuropeina e molto piccante perché ricco di polifenoli. Ha valori bassi di perossidi e bassissima acidità. “L’olio dipende dalla qualità delle olive e dalla quantità che producono le piante – segue Malcangi. L’oliva coratina si raccoglie più tardi delle altre, a inizio novembre. Ma va ad annate: gli alberi portano un anno sui 60-70 kili, quando i grani sono belli cresciuti, e un anno 30 kili. L’anno in cui ci sono molte olive il colore è giallino, e si raccolgono a inizio dicembre, ma l’anno in cui l’albero ne porta di meno, ovvero le olive sono “a mezza entrata”, e non c’è “caricaceno” (l’albero non è carico) , l’oliva è più grande e più nutrita e il colore va dal bianco al bordeaux, e si iniziano a raccogliere dal 10 -15 novembre. Per l’oliva paesana invece, quella di Terlizzi, Bitonto, Molfetta, Bari, chiamata la “ugghiarola”, la maturazione arriva prima e l’olio ha più acidità, è più trasparente e meno buono”.
Ed ecco poi una volta raccolte le olive, la molitura. Lui, Malcangi, usa la molitura a freddo che dà molta più densità all’olio. “La molitura a freddo è migliore perché l’olio non viene agitato nella lavorazione e lì sta tutto. L’oliva è composta da 40 50% d’acqua e 50% di olio e feccia, il “nocciolino” (nocciolo). Le olive vengono “intranciate” (schiacciate) da una pietra, “la mulazza”, per venti minuti, quattro ruote di pietra che girano. Si ricava la pasta composta per il 70 % dalle olive, il resto è di grana doppia. Quando la pasta delle olive viene schiacciata non diventa sottile, farinosa, perché non si distacca dall’acqua vegetale. La pasta poi si “svasca” e la si mette sui “discoli” a carrello con la pressa, l’impasto si lavora con il succo dell’acqua delle olive e l’olio rimane più denso. Questo fa la molitura a freddo. Le olive non vengono bruciate dal calore come con la molitura a caldo, e il “nocciolino” non diventa sottile sottile”.
La molitura a caldo, quella chiamata a continuo, arriva a 1600 1700 di temperatura, accelera la lavorazione, costa molto di meno e viene utilizzata per grandi quantità industriali. l’olio viene bruciato, esce limpido, ma ha meno perossidi perché è stato cucinato a caldo.
Molti poi preferiscono l’olio filtrato, e quando l’olio che deve essere confezionato è fresco, bisogna filtrarlo obbligatoriamente. Ci sono dei macchinari che filtrano, poi si riempiono dei sacchetti di telina e l’olio decanta. Ma “se lo teniamo a decantare è il migliore filtro che esista – spiega Malcangi. Se c’è l’impurità l’olio decanta in se stesso, l’impurità si posa sotto. Se invece sono i macchinari a filtrarlo, gli aromi che teneva prima li perde”.
Infine l’olio arriva imbottigliato o nelle lattine sulle nostre tavole. A ognuno il proprio gusto, c’è chi ha utilizzato sempre olio dei supermercati, c’è chi lo prende direttamente dai frantoi, c’è chi lo preferisce filtrato e a caldo e chi invece denso e a freddo. Chi prova l’olio fatto con vecchio sistema di lavorazione, ovvero con la molitura a freddo, si accorgerà che ha lo stesso sapore di un’oliva addentata. A voi la scelta.
di Stefania Miccolis