Dopo 70 anni di assenza Lvmh lancia le fragranze. Un mercato in crescita del 15%. Flaconi semplici, prezzo alto di gamma e marketing al minimo
È la sua grande «rentrée», per dirla con un’espressione che in questi giorni di riapertura delle scuole domina tutti, ma proprio tutti, i messaggi pubblicitari, dalle boutique ai supermercati.
Dopo settant’anni di assenza, ecco il grande ritorno di Louis Vuitton, forse la marca più prestigiosa (e più ricca: 7 miliardi di euro di fatturato) del colosso mondiale del lusso e della moda Lvmh, nel mercato dell’alta profumeria «ultra-luxe» come tiene a sottolineare il gran capo di tutto, Bernard Arnault, che nel lontano 1989 rilevò dalla famiglia Vuitton la già famosa azienda di pelletteria trasformandola in una delle più affascinanti aziende dello charme e dell’eleganza femminile di oggi.
L’ultima fragranza firmata da Louis Vuitton risale, infatti, al 1946. Era stata voluta con forza, ben comprendendo le potenzialità del mercato, dal nipote del fondatore, Gaston-Louis Vuitton, lo stesso che vent’anni prima, nel 1927, aveva deciso questa particolare diversificazione (per un’azienda che all’epoca produceva solo borse e valige) seguendo l’esempio di Coco Chanel, che nel 1921 aveva lanciato il mitico Chanel N.5 destinato a diventare un’icona della profumeria e della seduzione femminile.
Settant’anni dopo Louis Vuitton, «pepite» del gruppo Lvmh, riscopre le potenzialità di un settore che, unico nel vastissimo e multiforme mercato del lusso, registra tassi di crescita (fino a punte del 15% per certe marche e certe fragranze, secondo le rilevazioni di Euromonitor, un osservatorio statistico del settore). Come lasciarsi sfuggire l’occasione?
E così l’abile Arnault, ben consigliato anche dal suo braccio destro italiano, Toni Belloni, ha deciso di seguire le orme di Gaston-Louis e di lanciare una nuova gamma di profumi dalle fragranze uniche, originali, prodotte non mescolando essenze e sostanze chimiche, come la gran parte della cosmetica di oggi, ma seguendo le vecchie regole artigianali della «parfumerie» tradizionale, dei vecchi «nasi» e dei «maîtres parfumieres» di Grasse.
Ed è proprio qui, a Grasse, in Provenza, tra i campi di lavanda, di rosa, di mughetto, che nascono le sette nuove fragranze di Louis Vuitton, studiate e messe a punto dopo quattro anni di ricerca (quasi lo stesso tempo che ci vuole per progettare un nuovo telefonino o una nuova automobile) da uno dei «nasi» più apprezzati, Jacques Cavallier-Belletrud, figlio d’arte, creatore di un’ottantina di profumi di successo come l’Eau d’Issey di Miyake e il Midnight Poisson di Dior, da anni collaboratore fisso del gruppo Lvmh.
La sua ricetta è semplice e costosa: abbandonare la strada facile del marketing e del packaging e concentrarsi sul prodotto, su un profumo fatto alla maniera artigianale, come si diceva prima, con essenza di acqua di rosa (che costa 15 mila euro al kg) ed essenza di gelsomino (che costa 100 mila euro al chilo). Il risultato è una gamma di profumi che non concedono nulla all’immagine (i flaconi sono semplicissimi, essenziali, somigliano alle vecchie boccette del farmacista) ma costano più di 200 euro a confezione (da 100 millilitri). Ma, come si sa, in questo mercato il prezzo è una variabile indipendente. Non conta rispetto «all’unicité d’emotion» delle nuove fragranze realizzate nei laboratori artigianali di «Fontaines Parfumées», un’azienda che Arnault ha deciso di aprire a Grasse in collaborazione con i suoi sub-fornitori di materia prima e da cui si aspetta un fatturato di almeno un miliardo di euro, il 10% di tutto il mercato dei profumi alto-di-gamma.
I flaconi firmati Louis Vuitton, tutti in eleganti scatole di cartone bianco, stanno arrivando in tutto il mondo, ma non dappertutto. Solo nei 460 negozi monomarca. «Pour créer le desir», per far venire voglia, dicono, ispirati, negli uffici commerciali di Lvmh. E così il marketing si prende la rivincita.
Giuseppe Corsentino, ItaliaOggi