Il presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi: investimenti per 12 miliardi di euro. Il 26 luglio saranno pubblici i risultati del gruppo nel primo semestre del 2016
di Nicola Saldutti, Corriere
«Quando si parla di Telecom bisognerebbe distinguere la fiction finanziaria dalle cose che facciamo. Che sono molto più interessanti». Giuseppe Recchi ci tiene molto a sottolineare questo aspetto. Parlare della rete, della banda larga, è uno sport nazionale che ha molti giocatori, più o meno appassionati. «Ma una cosa è parlare della rete, una cosa è gestirla, come facciamo noi. Sembra una cosa facile, ma non lo è. Sa cosa vuol dire effettuare 60 milioni di interventi l’anno sulla rete? Anche questo è Telecom. Delle volte ho la sensazione che manchi questa percezione»
Anche al mercato. Il titolo soffre da un po’…
«Il mercato ha i suoi meccanismi. Chiedeva il cambio di passo, che abbiamo realizzato con l’arrivo del nuovo amministratore delegato, Flavio Cattaneo. In soli dieci giorni. Il turnaround dell’azienda marcia a pieno ritmo. Stiamo lavorando su molti fronti. La discontinuità è un fatto e i dati del 26 luglio parleranno».
I conti del semestre vanno bene, dunque?
«Non posso anticipare nulla. Dati e fatti parleranno per noi».
Pesa anche l’effetto Paese, la Brexit non è stata una passeggiata per i titoli italiani…
«Certo Telecom è una blue chip e risente dell’effetto Paese, ma l’importante è restare disciplinati sui fondamentali, i risultati e il lavoro che stiamo portando avanti. Vogliamo restare il punto di riferimento tecnologico dell’Italia. La porta d’accesso degli italiani alla vita digitale. E lo stiamo facendo su tutti i fronti. Il lavoro con Cattaneo va avanti molto bene».
E gli investimenti?
«Qualcuno ogni tanto lo dimentica, ma siamo il primo investitore del Paese con un piano di 12 miliardi in tre anni. Quattro miliardi all’anno di fondi propri. Dentro c’è il futuro, la connessione veloce, lo sviluppo delle città. In questi giorni sto avviando una serie di incontri con i sindaci, con cui condividere come far crescere insieme le loro città».
Vero. Ma adesso dovrete fare i conti con l’Enel che rileverà Metroweb. Un concorrente mica tanto piccolo…
«Non ci preoccupa. Tim ha 11,5 milioni di chilometri di fibra e ne posiamo 305 chilometri ogni ora, 7 giorni su 7. Metroweb ha circa 100 dipendenti ed è presente a Milano. Noi siamo 66 mila. Solo adesso si sta espandendo in città come Torino, Roma e Genova. Non averla acquisita non cambia lo scenario».
È per questo che voi siete, come dicono i concorrenti, in posizione dominante…
«Questo fa parte della fiction. Non direi. Il nostro è da tempo un mercato regolato e la situazione attuale è frutto di scelte strategiche fatte dalla politica in passato, come la decisione di non portare in Italia la tv via cavo per la quale venne interrotto nel 1998 un investimento di 12000 miliardi di lire. Oggi noi stiamo lavorando per rendere il Paese e le aziende sempre più competitive. Entro il 2018 copriremo l’84%. E stiamo sperimentando i mille mega in cinque città. Enel non ha ancora iniziato, quando verrà ne parleremo…».
La Borsa ha reagito con qualche preoccupazione per l’effetto Niel, l’arrivo in Italia del quarto operatore mobile?
«L’Italia ha già i prezzi più bassi d’Europa ed è abituata alla concorrenza di quattro operatori, per noi non sarà una sorpresa. La guerra dei prezzi? Non è li che si conquisteranno i clienti ma sulla qualità di connessione e servizi al cliente».
Niel è anche vostro socio…
«In realtà aveva rilevato delle opzioni che, a quanto leggo, adesso ha ceduto. Se guardiamo al mercato mobile, siamo tra i Paesi più avanzati d’Europa con un tasso di copertura che arriverà al 98% nel 2018. In Francia, il Paese nel quale opera Iliad, sono ben al di sotto dell’80%. E ci stiamo preparando per il 5G, che servirà ai semafori intelligenti, all’auto che si guida da sola, all’internet delle cose. Il telefonino diventerà la porta d’accesso per tutto. Anche di cose che ora non immaginiamo neppure. Telecom non è il problema, ma la soluzione della sfida tecnologica che abbiamo davanti».
La tecnologia è un pezzo di crescita importante del Pil…
«Noi vogliamo essere protagonisti del cambiamento del Paese. Abbiamo questa ambizione. È nella nostra natura e lavoriamo ogni giorno con questo obiettivo. Certo, veniamo da un periodo complicato. Ma adesso la situazione è stabile. In fondo le aziende sono come i Paesi, funzionano meglio se sono stabili».
I rapporti con Vivendi?
«Ha rilevato quasi il 25%, ha mostrato di credere molto in quest’azienda. È il nostro azionista di riferimento, industriale e di lungo periodo. E la collaborazione sui contenuti è molto promettente».
E gli accordi con Mediaset?
«Abbiamo scelto il modello aperto. Siamo uno scaffale di connessione. Distribuiamo i contenuti di più soggetti. È il nostro modo di interpretare la convergenza tra la rete mobile-fissa e i dati che viaggiano sulla fibra. Una cosa è certa, questi dati sono destinati a crescere».
Qualcuno sostiene che poi alla fine la banda larga non serva proprio tutta tutta…
«Il tema della domanda esiste e il rischio di costruire cattedrali nel deserto c’è, ma il piano del governo è ben fatto. La suddivisione in aree di mercato e aree a fallimento di mercato, a seconda del livello della domanda è ben congegnata. Bisogna stare attenti a non creare asimmetrie nelle regole».
A favorire i nuovi arrivati come Enel o Niel?
«Non ho detto questo. La competizione è un fattore positivo se stimola l’efficienza e lo sviluppo tecnologico. Però le regole devono essere uguali per tutti».