Il terrorismo e le lesioni interne hanno spinto i turisti a disertare il Paese. E senza di loro l’economia muore
Le ore trascorse tra i templi di Karnak deserti, nella Valle dei Re senza l’ombra di un visitatore, ai piedi delle Piramidi con i cammellieri senza clienti, figurano ancora, dopo tanti anni, tra i miei ricordi egiziani più belli. Ma quelle erano ore strappate al daffare di un cronista impegnato a raccontare le guerre, le rivoluzioni, il terrorismo, le crisi politiche, tutti avvenimenti che spingevano decine di milioni di turisti a disertare la Valle del Nilo. E che mi lasciavano quasi solo, nei momenti di quiete professionale, tra le meravigliose tracce dell’antico Egitto. E’ dunque con una nostalgia colpevole che guardo le fotografie di Luca Campigotto, splendide nella loro desolazione. L’assenza di turisti restituisce ai monumenti, alle rovine, ai luoghi, la purezza di cui ho goduto in condizioni particolari, ma essa è anche desolante, perché toglie o riduce brutalmente una delle principali risorse economiche del paese.
A prosciugare il fiume di stranieri erano un tempo, quando il turismo aveva raggiunto dimensioni di massa, le guerre con Israele (1956, 1967, 1973) o le convulsioni del regime, provocate dalla morte di Nasser o dall’assassinio di Sadat. Questa volta la crisi è più lunga. Risale al 2011, alla rivolta (la “primavera araba”) che comincia in piazza Tahrir il 25 gennaio, quando la popolazione chiede le dimissioni del presidente Mubarak, al potere da 30 anni. E le ottiene l’11 febbraio. Da allora l’ esercito (la società militare) tiene le redini della siituazione. Ha consentito libere elezioni che hanno condotto alla presidenza Mohammed Morsi, candidato del partito islamista dei Fratelli musulmani. Il quale è stato tuttavia destituito dai militari nel luglio del 2013. E da allora il potere è passato nelle mani del maresciallo Al Sisi, poi eletto con una valanga di voti dal paese che voleva un ritorno alla normalità, ma che non l’ha ritrovata. Perché la repressione ha fatto migliaia di morti, perché le prigioni hanno ospitato e ospitano decine di migliaia di oppositori, perché la tortura è diventata una pratica corrente.
L’Egitto è un paese religioso, non tanto nella pratica quanto nello spirito. Nei sentimenti. La popolazione era sensibile a due poteri: quello militare per l’ordine, anche con la violenza, e quello invadente dei Fratelli musulmani, dediti a varie assistenze e all’educazione islamica. La rottura della tormentata convivenza ha sempre provocato conflitti. L’ultimo, aggravato dalla situazione mediorientale, ha creato instabilità politica e ha disperso il turismo. Gli attentati hanno vuotato anche le belle spiagge del Sinai, dove i jihadisti sono attivi. Sharm-el-Sheikh non è più affollato dopo i 224 morti russi del volo di ritorno a San Pietroburgo, sabato 31 ottobre. Nel 2010 quindici milioni di turisti hanno visitato la Valle del Nilo, dando lavoro a più di tre milioni di egiziani, il 13 % della popolazione attiva. E in quell’ anno gli stranieri hanno portato nel paese trentasei miliardi di dollari. Più di trecento navi da crociera navigavano sul Nilo. Ne sono rimaste in servizio una trentina.
di BERNARDO VALLI