Le file ai filtri di sicurezza sono raddoppiate per il boom di passeggeri. Il Jfk scrive alla Tsa: “Situazione intollerabile, appalteremo ai privati”
Gli aeroporti e le compagnie aeree Usa lanciano la crociata contro le code bibliche ai controlli di sicurezza. E minacciano la Transport Security Administration (Tsa), l’agenzia governativa responsabile di questi servizi, di privatizzare la security agli imbarchi se non riuscirà a ridurre in tempi strettissimi i tempi di attesa per i passeggeri.
La rivolta covava da tempo sotto la cenere ed è scoppiata in questa primavera di boom per il traffico aereo a stelle e strisce. Nei primi due mesi dell’anno i passeggeri a livello mondiale sono cresciuti dell’8,7%, l’offerta negli Stati Uniti è salita del 9%. E i filtri di sicurezza nei principali scali americani sono andati in tilt. Il Jfk a New York ha registrato tra il 15 marzo e il 15 aprile ben 253 casi di attese superiori ai 20 minuti contro i 10 del 2015.
I serpentoni di viaggiatori si sono allungati dell’82% con un’attesa media di 20 minuti e punte regolarmente sopra i 50. Denver, dopo alcune mattinate apocalittiche, ha chiesto ai passeggeri di presentarsi tre ore prima del decollo ai check in per evitare di perdere il volo, come è successo in una sola settimana a ben 7mila clienti della American Airlines. E tutti temono che la prossima estate (tra luglio e agosto nei cieli Usa voleranno 220 milioni di persone) la situazione possa precipitare.
Gli scali newyorchesi, davanti a questo scenario, hanno rotto gli indugi prendendo carta e penna e scrivendo una lettera di fuoco alla Tsa: “La situazione è intollerabile, gli organici al lavoro ai varchi della sicurezza sono inadeguati e vanno rinforzati – hanno messo nero su bianco – e in assenza di soluzioni rapide ci riserviamo di affidare il servizio a contractor privati”. Come hanno già fatto 21 altri aeroporti.
“Sappiamo che i mesi estivi saranno di fuoco”, ha messo le mani avanti Gary Rasicot, nuovo capo delle operazioni dell’agenzia governativa che da parte sua ha fatto sapere di aver già attivato le procedure per rimpolpare il numero dei dipendenti in servizio. Due senatori democratici hanno addirittura chiesto alle compagnie aeree di cancellare le tariffe per imbarcare le valigie in stiva, una gabella che ha fatto aumentare di molto i volumi e il numero di bagagli a mano da controllare nalla security.
A testimonianza della gravità della situazione c’è anche la presa di posizone del massimo organo di rappresentanza delle compagnie aeree Usa che ha chiesto ai passeggeri di bombardare la Tsa via mail e twitter di fotografie delle interminabili file negli aeroporti sotto l’hashtag #Ihatethewait, “io odio la coda”. La lobby dei privatizzatori della security ha del resto diverse frecce nel suo arco.
Le code davanti a scanner e nastri dei bagagli non sono l’unico segno delle difficoltà dell’agenzia, che negli ultimi anni ha perso il 10% del suo organico causa tagli al budget. La Homeland Security ha provato lo scorso anno a far passare ai filtri della Tsa armi e esplosivi finti. E nel 95% dei casi è riuscita a bucare i controlli senza difficoltà. Non solo. Gli aeroporti già gestiti dai privati smaltiscono in media il 65% in più di passeggeri senza penalizzare la sicurezza.
L’agenzia governativa ha provato a lanciare una “corsia preferenziale” (Tsa Pre) dove i clienti abituali possono passare senza togliere scarpe e cinture e lasciando laptop e
altri congegni elettronici nelle valigie. Il programma costa tra 85 e 100 dollari di iscrizione (la Microsoft lo rimborsa ai dipendenti) e ha avuto un tale successo da trasformarsi in un boomerang: le code a questi varchi sono a volte più lunghe di quelle di fronte ai controlli tradizionali.
Repubblica