Negli ultimi anni hanno investito molto nella distribuzione. Ora sono senza debiti e con risorse da impiegare in nuove acquisizioni. Oppure in maggiori dividendi e buyback. Da Swatch a Burberry fino all’italiana Ferragamo
È un lusso anche avere cassa in eccesso da investire. Le aziende dell’alta gamma italiana, hospital dopo anni di sforzi giganteschi nella propria rete distributiva, ora hanno un discreto gruzzoletto – che gli analisti del settore stimano in oltre 10 miliardi di euro – da spendere o da restituire ai propri azionisti sotto forma di buy back o di dividendo. Sintetizza Armando Branchini, che è vice presidente di Altagamma: “La forte liquidità presente nelle aziende del lusso è un fattore chiave in questo contesto di mercato”.
Parte di queste risorse è stata generata grazie alle forti oscillazioni dei cambi del 2015, pertanto ci aspettiamo che in tempi brevi venga utilizzata per nuove acquisizioni o per ulteriori investimenti nei business esistenti, o per rinnovare i format della rete distributiva “. Insomma, ora che i marchi hanno seminato negozi in tutte le capitali mondiali del lusso, potrebbero sperimentare nuovi modelli di vendita, oltre il monomarca che tende a stancare i consumatori, per non parlare della rivoluzione digitale e del canale online, che è un mezzo di comunicazione e promozione, ma anche di vendita dei propri prodotti. “Il costo opportunità per fare acquisizioni è più basso, il funding costa poco, devi crescere e hai cassa – osserva Gialunca Pacini di Banca Imi – con questi ingredienti è difficile non essere tentati di fare acquisizioni. L’alternativa è pagare maggiori dividendi, come Ferragamo, o promuovere un buy back come ha fatto Moncler”.
Se finanziare la crescita per linee esterne non è mai stato così conveniente come ora, è anche vero che le prede non sono molte. “C’è una grande liquidità nelle casse di alcuni brand – fa notare Pacini – tuttavia non vedo all’orizzonte grandi operazioni come quelle di Loro Piana o di Bulgari, ma piuttosto aquisizioni di medie dimensioni”.
E’ vero però che nel comparto del lusso, dove a vendere i marchi spesso sono famiglie che gestiscono le aziende da generazioni, le opportunità che vengono a crearsi quando c’è una discontinuità nella successione sono imprevedibili. Se per assurdo i Wertheimer volessero vendere Chanel, oppure gli eredi Dumas vendere Hermès non sarebbe difficile trovare un acquirente, nonostante si stia parlando di aziende che valgono miliardi. E l’effetto scarsità di marchi di alta o altissima gamma supera anche le resistenze legate alla volatilità dei mercati. Tuttavia, se Chanel e Hermès non sono in vendita, gli analisti fanno notare che altri marchi come Rolex, piuttosto che Armani, a un certo punto potrebbero arrivare sul mercato. Fatto sta che tenere in cassa tanta liquidità senza reimpiegarla, soprattutto oggi, è una perdita secca di valore. “Non escludo che qualche gruppo che ha già potenziato la propria rete proponga più dividendi – aggiunge Branchini tuttavia in questo settore quando si generano importanti flussi di cassa, si tende sempre a pensare come investirla per trasformarla in crescita. La missione di queste aziende è sempre stata essere “growth”, se ne guarderanno bene dal diventare “value””.
I colossi esteri. La più liquida di tutte è la svizzera Richemont, che ha in cassa oltre 5 miliardi di euro, che potrebbero essere destinati a nuovi marchi della gioielleria e dell’orologeria di alta gamma, oppure per diversificare nella moda, dove il colosso elvetico è presente solo con Chloè e Alaia. Ma c’è anche la connazionale Swatch, che ha poco meno di un miliardo da investire o da restituire ai suoi azionisti. Tra i brand della moda invece la più liquida è Burberry, che tra l’altro è una delle poche pubblic company del lusso, che ha in cassa oltre un miliardo. Il gruppo anglosassone due anni fa ha fatto una scommessa diversa rispetto alle rivali, ricomprandosi da Coty la divisione cosmetica e profumi. E visto che Burberry è da sempre un’azienda basata unicamente sul suo brand e avendo già implementato una forte politica di “brand extention” partendo dall’impermeabile, gli esperti scommettono in cedole più ricche o buy back.
I marchi italiani. Le aziende italiane hanno in genere dimensioni più ridotte rispetto ai colossi esteri, e quindi maggiori prospettive di crescita per linee interne. Peraltro se Moncler ha ancora di fronte alcuni anni di investimenti sulla distribuzione, Cucinelli nell’ultimo triennio ha puntato 120 milioni per potenziare la propria rete, finanziando parte di questi investimenti anche grazie al debito (a fine 2015 le passività erano di 56 milioni). Stesso discorso per Tod’s che ha sempre pagato dividendi generosi, ma che si è appena imbarcata nell’acquisizione di Roger Vivier (operazione da 415 milioni, di cui la metà pagata in azioni Tod’s) pertanto per la prima volta nella sua storia si trova a essere indebitata, seppure di poco. Il caso è invece leggermente diverso per Salvatore Ferragamo, che avendo completamente azzerato i debiti grazie a una forte generazione di cassa, ora potrebbe remunerare un po’ di più i suoi azionisti. Infine, c’è grande attesa per l’Ipo di Valentino, piuttosto che per il ritorno sul mercato di una serie di brand che sono stati acquisiti negli anni dai private equity come Roberto Cavalli o Sergio Rossi, il cui rilancio richiederà alcuni anni.
Le holding francesi. Lvmh non è mai stata così solida: dai conti 2015 emerge un gruppo con una forte generazione di cassa (3,67 miliardi, +30%) grazie alla quale il colosso guidato da Bernard Arnault rischia di arrivare ad azzerare i debiti che a fine anno si erano ridotti a 4,2 miliardi. Il colosso del lusso mondiale è quello che più nel tempo è cresciuto per linee esterne, ma gli epserti fanno notare che data la politica di maxi acquisizioni degli ultimi anni (Berluti, Loro Piana e Bulgari solo nell’ultimo quinquennio) la società che fa capo ad Arnault è anche quella che la crescita futura se l’è già assicurata. Per questo Lvmh sta sperimentando nuove start up come Moyant, oppure nuove formule come gli hotel di lusso di Cheval Blanc Hotels (di cui uno sarà aperto all’interno di La Samaritaine) nei quali si possono comprare anche tutti i brand della maison. Per il momento Lvmh ha aumentato la cedola 2015 a 3,55 euro (+11%), nonostante gli utili netti siano diminuiti poiché il 2015 aveva beneficiato della maxi plusvalenza per la vendita di Hermès. Ma proprio il raid sul colosso del lusso francese – di cui Lvmh aveva rastrellato fino a1 20% del capitale – dimostra che a dispetto delle smentite Arnault è pronto a imbarcarsi anche in acquisizioni importanti, se il brand è interessante. A differnza di Lvmh la rivale Kering attraversa una fase di concentrazione e pulizia del suo portafoglio marchi, tant’è che la società non ha nemmeno escluso di essere disposta a valorizzare la controlalta sportiva Puma. Ma come successo con Sergio Rossi- ceduta a fine anno a Investindusitral, il gruppo guidato da François-Henri Pianult nel comprare come nel vendere è molto attento a non disperdere valore. Il processo di concentrazione di Kering sul luss – che ha comportato negli ultimi 10 anni la cessione di attività molto diverse come i grandi magazzini Printemps, i negozi di elettronica libri e musica della Fnac, le vendite per catalogo della La Redoute – permetterà di liberare sia risorse che energie per tornare a investire con forza su nuovi marchi. E nel frattempo Pinault potrà spingere l’acceleratore sugli ultimi acquisti come Brioni e Pomellato, ma anche lasciare aperta la porta per future acquisizioni di nuovi brand con cui integrare il portafoglio che poggia principalmente su Gucci, Bottega Veneta e Yves Sain Laurent.
Repubblica