di Mauro della Porta Raffo
19 febbraio 2016, clinic a Milano, dopo lunga malattia come si dice, Umberto Eco viene a morte.
Celebrazioni in tutto il mondo, eccessive, penso.
Colpa indubbiamente mia, lo trovavo verboso e per quanto attiene ai suoi romanzi, ‘Il nome della rosa’ in specie, illeggibile.
Trenta, quaranta pagine a fatica e poi il libro tornava in libreria.
Ho avuto a che fare personalmente con lui pochissime volte.
La prima perché concordavo con una sua più che giusta rimostranza contro la genia dei titolisti che, a loro ghiribizzo, cambiano i titoli degli articoli e spesso tradiscono o fanno in modo che vengano travisati i contenuti dei pezzi che gli scrittori inviano ai giornali.
La seconda, allorquando titolò (guarda caso) una ‘Bustina di Minerva’ in cotal modo ‘Questo articolo contiene tre errori!’
Avendolo letto, eccepii che gli errori erano due per sentirmi rispondere che il terzo era appunto nel titolo che riportava una falsità.
Replicai che non si poteva considerare testo anche il titolo.
Eco aveva molto letto, ovviamente, ma non abbastanza come dimostra la mia Pignoleria che qui di seguito riporto.
Fu pubblicata su Il Foglio il 23 novembre 1997:
“Il giorno di Pasqua del 1519, come precedentemente concordato attraverso un messo azteco, Hernan Cortés, accampato da soli due giorni laddove oggi sorge Vera Cruz, ricevette la visita del locale governatore, Teuhtlile.
Ad un tratto, Cortés notò che un indigeno munito di pennello disegnava senza sosta su diverse tele.
Avvicinatosi, scoprì che si trattava di un ‘pittografo’ che, come lo informò Teuhtlile, rappresentava tutto ciò che vedeva nel campo spagnolo ad uso di Montezuma, il quale, così, avrebbe tratto anche una nozione visiva dell’aspetto di ciascun oggetto, il che gli sarebbe valso assai più di qualsiasi descrizione orale.
Fu allora che il conquistador diede ordine che la sua cavalleria eseguisse una sortita sulla spiaggia, la qual cosa stupì gli aztechi che non avevano mai visto i cavalli.
Nulla di tutto ciò andò perduto per i pittografi che registrarono fedelmente a colori ogni particolare.
Pochi giorni dopo, l’opera di quegli strani relatori era al cospetto di Montezuma.
Dobbiamo questa ricostruzione al grande storico americano William H. Prescott (‘La conquista del Messico’, 1843).
Stando così le cose risulta decisamente strano che Umberto Eco, nel suo ‘Kant e l’ornitorinco’, parli diffusamente della presunta difficoltà che Montezuma avrebbe avuto di rendersi conto di cosa effettivamente fossero i cavalli.
Eco, fra l’altro, afferma che le prime notizie, fornite all’imperatore proprio dal pittografo, parlavano degli invasori che “montavano dei cervi alti come i tetti delle case”.
Ciò contrasta totalmente con la ricostruzione di Prescott nonché con quanto riportato in ‘Historia de las Indias’ da Bartolomeo de Las Casas”.