L’accusa dell’editore de La7. La pubblicità? Dal 2011 fa una politica di dumping sulle tariffe
Urbano Cairo è in grande forma, pilule rivitalizzato dai tre gol del Torino a Palermo e dall’accordo con Palazzo Reale a Milano, sale dove per i prossimi tre anni si terrà in novembre la mostra d’arte contemporanea per la 17esima edizione del Premio Cairo (dopo due anni alla Posteria e 14 anni alla Permanente).
È anche meno diplomatico del solito. Soprattutto in tema Rai. «La riforma della Rai è scandalosa. Viviamo in un mercato che da otto anni vede solo vacche magre, in cui la tv ha perso il 33% della raccolta pubblicitaria, la stampa il 60%. E in cui, dal 2011, Rai pubblicità fa una politica di dumping sulle tariffe pubblicitarie, buttando a terra il costo per grp (gross rating point, il costo contatto, ndr), che da noi è la metà rispetto alla Germania. Tanto per dire», prosegue Cairo, che con Cairo communication è anche editore di La7, «in Italia il costo grp è sceso del 38% negli ultimi quattro anni solo a causa del dumping della Rai. In uno scenario del genere, il governo vara la riforma della Rai, invece di pensare a tutto il sistema televisivo. E, grazie al canone in bolletta, concede all’operatore Rai altri 300 milioni di euro all’anno. Ora la Rai arriverà a incassare 2 miliardi di euro all’anno di finanziamento pubblico. E in questo modo si danneggiano tutti i competitor e tutti i settori editoriali, dalla tv alla stampa, la radio, ecc».
Cairo, a questo punto, mette sotto accusa il concetto stesso di servizio pubblico e il sistema di assegnazione del contratto di servizio pubblico. «In Gran Bretagna si sta parlando del rinnovo della convenzione del contratto di servizio pubblico da due anni, con un grande dibattito a cui partecipano vari soggetti. In Italia, praticamente, non se ne parla, e, alla fin fine, il concetto di servizio pubblico lo definisce la Rai stessa e non il governo. Allora io mi domando: perché il Tg1 è servizio pubblico e il Tg di Mentana no? Perché la Gruber non fa servizio pubblico e la Annunziata sì? Perché DiMartedì no e Ballarò sì? O Crozza no e Sanremo o Panariello sì? A questo punto si deve fare una gara aperta, senza assegnazioni automatiche sempre e solo alla Rai».
Bombardata la televisione pubblica, Cairo torna a occuparsi delle questioni di La7, la cui raccolta pubblicitaria «cresce del 3% nel bimestre gennaio-febbraio. Bene in dicembre, poi c’è stato un buon gennaio e stiamo vivendo un ottimo febbraio. Certo, c’è stato un calo di ascolti di gennaio dopo un bel semestre luglio-dicembre. Ma ho fiducia per le prossime settimane, torna Crozza e parte la nuova trasmissione dei comici». Sia Daria Bignardi, sia Michele Santoro, una volta lontani da La7, non hanno trovato spazio in tv. Potrebbero esserci porte aperte? Cairo non si esprime su Santoro, mentre «ritengo la Bignardi molto brava, anche come scrittrice, attività a cui tiene molto. La7 è sempre aperta per Daria Bignardi, certo, e con l’amico Beppe Caschetto (agente della Bignardi e di molte altre star della tv, ndr) ci parliamo sempre, per cui tutto è possibile. Però devo anche dire che con la Bignardi non c’è più stato alcun contatto dopo la fine delle Invasioni barbariche».
Cairo è pure azionista al 4,6% di RcsMediaGroup. E quindi, coi prezzi dei titoli così bassi, potrebbe anche aver voglia di arrotondare la sua partecipazione, comprando sul mercato? «Assolutamente no, sto bene così, il mio investimento l’ho fatto tempo fa. Non calcolo le perdite perché diventano perdite solo quando vendi. Al momento sono azionista. E non sono abituato a fare investimenti di breve periodo. In tanti anni non ho mai venduto neppure una azione di Cairo communication, di cui ho il 73%. Ora lasciamo lavorare la Cioli e Costa. Poi valuteremo. Sono invece molto contento per il prossimo rientro di Ferruccio de Bortoli come editorialista al Corriere della sera. È stato un grande direttore, di altissimo livello. E così come noi lo intervistiamo sempre a DiMartedì per sentire le sue opinioni, è giusto che lui le possa scrivere sul Corriere. Soprattutto tenuto conto che in via Solferino c’è anche Paolo Mieli».
Quanto, invece, a ipotesi circa un interesse di Cairo ai giornali televisivi che Lagardere ha messo in vendita in Francia, o alla divisione Banzai Media di Banzai, «sono dossier che non ho mai visto, e non sono interessato. Io, in genere, non compro giornali, tantomeno in Francia. Al massimo, io i giornali li lancio. E poi Banzai ha detto che non vende nulla».
Internet è un tema spinoso da trattare con Cairo, che, per ora, non ha mai intravisto grosse opportunità di business in quell’area. Cosa ne pensa del quotidiano inglese The Independent, che ha annunciato di passare totalmente all’on line, abbandonando la carta? «È come alzare bandiera bianca. Il segreto», risponde Cairo, «è organizzare una attività in maniera profittevole, tutto qui. L’editore russo dell’Independent ha investito negli ultimi anni una ottantina di milioni di euro. E ora ha ritenuto che non fosse consigliabile andare avanti. Ma chiudere l’edizione cartacea non è una opzione se fai un quotidiano: perdi di sicuro gli incassi da edicola, e la pubblicità online non è redditizia come quella su carta. Per ogni 100 euro persi sulla carta, ne ritornano solo 10 sul digitale».
Infine, due riflessioni sul mondo del calcio, dove Cairo, ormai da oltre un decennio, è presidente del Torino. «Per la prossima partita col Carpi faremo dei prezzi speciali popolarissimi. Parlo di cinque euro per le curve. Mi piacerebbe vedere uno stadio Olimpico pieno, ma bisogna agevolare i tifosi con prezzi speciali, soprattutto in una fase di crisi economica». Quanto all’attaccante del Torino Ciro Immobile, in un contesto artistico come il Premio Cairo, si sente di paragonarlo a un Fontana o a un De Chirico? «Beh, Fontana e De Chirico sono tanta roba», sorride Cairo, «meglio rimanere a qualche artista italiano contemporaneo, che altrimenti Immobile mi chiede l’aumento di stipendio».
di Claudio Plazzotta “Italia Oggi”