(di Mauro della Porta Raffo) Allora, orientandoci infine nel ginepraio di sondaggi più o meno farlocchi, a livello nazionale (pertanto assolutamente inutili dato il sistema elettorale) o negli Stati contesi (rilevazioni quasi sempre manipolate a fini propagandistici), pare proprio che alla fine la decisione novembrina si avrà in Pennsylvania.
Vale ben diciannove voti nel Collegio che effettivamente nomina il Presidente lo Stato con capitale Harrisburg.
Diciannove su cinquecentotrentotto per arrivare alla maggioranza assoluta pari a duecentosettanta.
È guardando alla composizione e distribuzione locale dell’elettorato che si comprende quale sia il ‘momento’ e quali le necessità dei due contendenti e dei loro partiti.
In sintesi ma del tutto correttamente, nello Stato in questione, le città (Philadelphia e Pittsburgh in prima linea) votano democratico e le campagne repubblicano.
Durante lo spoglio dei voti, sugli schermi televisivi, subito, il colore prevalente è il blu dell’asinello dem.
Questo in ragione del fatto che i primi seggi che consegnano gli esiti sono proprio quelli cittadini.
Poi, mano mano che i suffragi del contado arrivano, il blu iniziale si scolora: nel 2016 passando poco a poco al rosso dell’elelefantino rep, nel 2020 restando d’un pelo azzurrino.
Stando così le cose, se vuole (eccome!) vincere, Kamala Harris deve fare in modo che il recupero finale repubblicano non sia determinante.
E come se non corteggiando e convincendo i votanti locali delle campagne, meno acculturati e ‘moderni’, meno ‘evoluti’ secondo gli stessi democratici, quelli che Hillary Clinton definì sprezzantemente “deplorables”?