Con l’arrivo alla guida di FiberCop, la società cui Tim ha appena ceduto l’infrastruttura fissa, l’amministratore delegato Luigi Ferraris, legnanese, 62 anni, si conferma una volta di più «uomo delle reti». Da quella elettrica a quella fisica degli uffici postali, da quella ferroviaria fino, oggi, a quella telefonica. Da «civil servant», il manager non ha mai fatto trapelare nulla circa lo stato d’animo con cui ha accolto i passaggi da un’azienda all’altra, di triennio in triennio.
Tanto è durato l’incarico in Terna, la prima grande partecipata che ha guidato, dopo avere ricoperto molti ruoli finanziari in altre aziende non solo pubbliche. Al termine di quell’avventura, conclusasi con tutti i principali indicatori aziendali migliorati, Ferraris si aspettava una riconferma. Invece al suo posto arrivò Stefano Donnarumma, cui allora veniva attribuito un forte sostegno governativo del M5S.
Ferraris stette fermo un anno, rientrando nel privato, prima di venire chiamato nel 2021 a prendere il timone delle Ferrovie dello Stato, su scelta del premier Mario Draghi, al posto di Gianfranco Battisti. Chiara la prima delle missioni: mettere a terra per tempo le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, pari a 26 miliardi.
Dossier privatizzazione
Oggi Ferraris può dire di avere rispettato il cronoprogramma: sono stati investiti otto miliardi fino al 2023, pari al 30% delle risorse. Se il ritmo sarà mantenuto, la scadenza del 2026 potrà essere rispettata dal suo successore. Che, per uno strano caso della vita, sarà di nuovo Stefano Donnarumma, anche lui rimasto fermo un giro dopo avere mancato, l’anno scorso, la poltrona di Enel, cui sembrava destinato.
Con che animo Ferraris ha lasciato questa volta il suo incarico? Nel silenzio che continua a distinguerlo, si possono avanzare solo supposizioni. Una su tutte: il manager, che ha contribuito a importanti operazioni di quotazione in Poste e in Enel, aveva molto lavorato anche al dossier Fs. Era questo probabilmente l’obiettivo al quale segretamente aveva puntato, una di quelle operazioni che tutti hanno sempre considerato impossibile, un po’ come il risanamento delle Ferrovie e l’avvio dell’Alta velocità, traguardi raggiunti dal suo predecessore più noto: Mauro Moretti.
Chi conosce Ferraris, racconta che alcune opzioni erano state già sondate con gli advisor, affrontando la difficoltà di dare un valore agli asset del gruppo, sulla scorta dell’input dato dal Tesoro che si è prefissato un target di incasso da privatizzazioni elevato: 20 miliardi. Una cifra confermata dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, giovedì scorso, durante la conferenza stampa sulla vendita di Ita Airways a Lufthansa: «Siate fiduciosi che i numeri che abbiamo annunciato saranno raggiunti».
Intanto il 2023 di Ferrovie si è chiuso con una crescita del 18% dall’anno prima, segnando un +3% per l’Alta velocità e un +5% per gli Intercity. «Un anno record», ha sintetizzato Ferraris in una delle ultime interviste. Malgrado il dimezzamento dell’utile dal 2022, attribuito ai 170 milioni di ristori ex Covid, cifrati nel bilancio precedente, e alla sopravvenienza passiva di 120 milioni di aiuti di Stato restituiti nel 2023.
L’innovazione
Le voci circolate quando il dossier delle nomine è diventato caldo davano Ferraris pronto al raddoppio, almeno questa volta. E invece, ecco aprirsi un nuovo capitolo e una nuova scommessa. Che il manager, a caldo, ha sintetizzato così: «FiberCop giocherà un ruolo cruciale nella transizione digitale in Italia attraverso la realizzazione e l’offerta di infrastrutture digitali innovative». In realtà finora Ferraris il mondo della telefonia lo ha solo lambito: scorrendo il suo ricco curriculum appare, tra il 1998 e il 1999, la carica di chief financial officer in Elsacom, società del gruppo Finmeccanica operante nella telefonia satellitare. Un’altra epoca, un’altra storia.
Per ora la cessione della rete ha portato un risultato certo: Tim vedrà alleggerirsi il proprio debito dagli attuali 25,6 miliardi a 7,5 miliardi, a fine anno. «Il governo interviene in un settore strategico, con una grande operazione di politica industriale che, tra l’altro, mette in sicurezza Tim e i suoi lavoratori» ha ammesso Giorgetti.
Per FiberCop il percorso è un altro e prevede alcune milestones: diventare una rete wholesale accessibile a tutti gli operatori, fornire nuovi capitali per gli investimenti nell’infrastruttura di rete. E soprattutto accelerare quella conversione dal rame alla fibra ottica ad alte prestazioni in tutta Italia, che segna il passo da tempo.
La diarchia
Infine, per gli appassionati delle cronache delle diarchie aziendali — un classico italiano — il nuovo assetto ai vertici di FiberCop sembra destinato a regalarne parecchie. La presidenza confermata a Massimo Sarmi, veronese, 75 anni, manager di esperienza consolidata nel ramo, non potrà limitarsi a rappresentare soltanto un necessario elemento di continuità.
Sarà interessante approfondirne le deleghe per capire che tipo di equilibrio si andrà a realizzare.
Antonella Baccaro, corriere.it