«La priorità restano gli Stati Uniti, dove abbiamo già investito molto. Un percorso di crescita che si muove su due direttrici: acquisizioni e per linee organiche. È un mercato ancora molto frammentato e noi vogliamo essere un polo aggregante. Nei primi quattro mesi dell’anno abbiamo già realizzato investimenti in acquisizioni nel mondo per 70 milioni, il piano prevede di superare quota 100 ogni anno. E lo faremo». Enrico Vita, amministratore delegato di Amplifon, racconta così i piani del gruppo, che in Borsa capitalizza circa 7,7 miliardi. E che gli analisti considerano una tech company. «Ormai il digitale e l’analisi dei dati sono un pezzo molto rilevante. La possibilità di connettere e scambiare i dati ha più obiettivi: conoscere meglio i nostri clienti, migliorare l’utilizzo degli apparecchi e la possibilità di arricchire l’esperienza e l’assistenza da remoto. Stiamo vedendo che la digitalizzazione non è una questione legata all’età, le persone sono molto più tech di quello che i luoghi comuni fanno pensare».
Quanto investite in tecnologie?
«Qualche anno fa abbiamo deciso di rafforzare la struttura di ricerca e sviluppo interna, è nata così Amplifon X, un laboratorio di talenti, dal design software all’analisi. Abbiamo acquisito una start up a Napoli da cui poi abbiamo generato il nostro hub, una specie di garage tech delle nuove iniziative. La tecnologia è importante ma nel nostro settore il fattore umano è ancora decisivo per garantire la qualità del servizio. Vediamo chiaramente che i giovani sono disposti a lavorare per una società che abbia uno scopo e impatto. Per noi ogni dipendente ha tre giorni di formazione l’anno. Vediamo che i giovani vogliono esprimere il loro punto di vista. Essere ascoltati. Capaci di generare innovazione, che per le aziende vuol dire crescita. Siamo presenti in 26 Paesi ormai e questo è un tratto comune».
Dal vostro osservatorio come va l’economia?
«Un mondo sempre più a due velocità, da una parte gli Stati Uniti che vanno molto bene e l’Europa che sta soffrendo un po’ di più. La Cina? È stata la grande locomotiva, ora è più difficile da leggere ma vedo molto fermento, i dati confermano che c’è ripresa anche lì. La crescita di questi anni ci ha portato da avere nel mondo 10 mila punti vendita con circa 20 mila persone. E per l’anno prossimo, in cui festeggeremo i nostri 75 anni vogliamo crescere ancora».
Comprerete sul mercato?
«Ci stiamo guardando intorno, vogliamo rimanere una società veloce. Per arrivare a un miliardo di fatturato ci sono volute radici solide e un tempo di circa 70 anni, in sette anni abbiamo raggiunto il secondo e ora puntiamo ad arrivare a 3 miliardi il prima possibile. Una crescita sostenibile. Cosa resa possibile da un azionariato stabile che ci supporta e da un team di manager di talento».
Siete stati i primi ad inserire nello statuto il voto maggiorato?
«Abbiamo voluto cogliere questa opportunità di una struttura del capitale a supporto della crescita, senza dover migrare in altri paesi che offrono già questa opportunità. Conserveremo la nostra sede legale e fiscale in Italia, potendo però cogliere meglio le opportunità di sviluppo per l’azienda. Credo che il decreto capitali sia in generale una norma che potrà favorire lo sviluppo delle aziende italiane. Con il tempo si aggiungono diritti di voto e questo può supportare anche operazioni di acquisizione con scambio di azioni, ad esempio».
In quale area del mondo puntate di più per la crescita?
«La priorità restano gli Stati Uniti, vogliamo aumentare la nostra quota di mercato. Si tratta di una geografia enorme dove ogni Stato ha le sue peculiarità, abbiamo appena acquisito due franchisee, nel 2020 abbiamo creato una rete di negozi diretti. Ora abbiamo 400 negozi diretti e 1.200 in franchising. Ma la presenza diretta ci permette di conoscere meglio i clienti. Così come i dati ci permettono di capire le modalità di utilizzo dei nostri apparecchi, e di migliorare i servizi. Attualmente l’Italia rappresenta poco più del 15 per cento del totale dei ricavi».
I conti come vanno?
«Siamo soddisfatti dei risultati di questo inizio anno, ma guardiamo molto anche alla sostenibilità nel medio e lungo periodo».
Gli analisti lo sono meno…
«In realtà dipende dalle geografie. Crescono quelli che chiedono i nostri orizzonti, i nostri piani di sviluppo di medio termine. Anche se il trimestre continua ad essere un dato rilevante. Ma la sostenibilità di lungo periodo sta diventando sempre più centrale nella valutazione dei mercati».
Nicola Saldutti, corriere.it