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(di Tiziano Rapanà) Il risultato delle elezioni europee dà un quadro chiaro della situazione all’interno della Lega. L’idea, ormai residuale e giurassica, della retorica nordista che un tempo veniva riassunta nei claim “Roma ladrona” e “Prima il Nord” appare controproducente. Il solo Settentrione non può più essere il centro di un’azione politica. Alcuni militanti vogliono inseguire il passato: rifiutano la linea di Salvini che ha puntato tutto sulla immagine di Vannacci, figura paradigmatica di un sovranismo pop che furoreggia sui social (basta guardare su TikTok la diffusa benevolenza nei confronti del generale). I tempi sono cambiati, Salvini lo ha capito da lustri. Vannacci porta, in casa Lega, più di cinquecentomila voti. Altri portano problemi. Il mondo è cambiato e non è più il tempo di immaginare il ritorno alla Padania, alle feste dei popoli padani e alle sacre acque del Po. La crisi del Movimento 5 Stelle può essere un’opportunità per la Lega per guardare ad un meridionalismo leghista convergente all’originario disegno legato alla difesa delle tradizioni e del tessuto sociale e culturale (nella sua accezione più sfacciatamente popolare). Un disegno che vedeva la vecchia Lega impegnata nel portare lo studio del dialetto delle scuole. Il dialetto, da alcuni frettolosamente giudicato come sub-linguaggio, è il vero abc nello stare al mondo in una comunità; è il riconoscersi parte di qualcosa che ti riporta nel luogo dell’infanzia. Questo vale dappertutto: da Milano a Crotone, da Varese a Palermo. I vecchi quadri di una storia, tutta nordica, dovrebbero restare nell’ideale teca del partito. Se la Lega vuole crescere, deve superare le dissonanze e le idee obsolete.