Fine della corsa per le pensioni anticipate. Una spesa sempre più elevata, in crescita del 5,8% nel 2024, accompagnata da una transizione demografica che, come si legge nel Def, potrà essere “solo parzialmente compensata dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento”, porteranno questo governo (e i prossimi) a dover fare i conti (spesso molto salati elettoralmente) con la necessità di arginare la spesa pensionistica.
Ciò vuol dire abbandonare il sistema di quote varie emerso negli ultimi anni per tornare all’impostazione della legge Fornero, vista come un incubo da gran parte della politica italiana. Un indizio molto forte arriva dal già citato Def, ovvero il Documento di economia e finanza, approvato in Consiglio dei ministri il 9 aprile. Ma non solo; a spesa e transizione demografica si aggiunge anche la stagnazione dei salari in Italia, ormai cronica, che non potrà che incidere sull’equilibrio del sistema. Inoltre, segnali sono già arrivati dal governo in carica; non solo le strette operate nell’ultima legge di bilancio, ma anche le parole espresse dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti a fine 2023: “il problema dell’Italia è il debito, che deve essere tenuto sotto controllo altrimenti il paese non ce la fa”. Il tutto, con l’arrivo della revisione del patto di stabilità e crescita, dopo quattro anni di sospensione. “Una Lsd a cui siamo assuefatti”, il Giorgetti-pensiero.
Spesa pensionistica in continua crescita
Il primo indizio che porta a pensare che sia finita la stagione dei pensionamenti anticipati arriva, come detto, dai numeri del Def.
Nel 2024 la spesa pensionistica sarà di 337,4 miliardi di euro, in crescita del 5,8% rispetto al 2023 (anno in cui la crescita rispetto al precedente è stata del 7,4%). Allungando l’orizzonte temporale (si veda grafico in pagina), il Def stima la percentuale di spesa pensionistica sul Pil da qui al 2070. Il picco sarà raggiunto nel 2040, quando si arriverà al 17% del Pil. Uno scenario, questo, tracciato “a legislazione vigente”, come si legge nel documento, altro elemento importante nell’analisi. Ad oggi, infatti, la disapplicazione della legge Fornero è garantita solo per il 2024; senza nuovi interventi in legge di bilancio, da gennaio 2025 torneranno le nuove regole (stop alle deroghe, pensione a 67 anni con collegamento all’aspettativa di vita, che è già in vigore). Quindi, la crescita continua della spesa fino al 2040 ci sarà nonostante il ritorno alla legge Fornero. Un aspetto confermato testualmente dallo stesso Def; nel documento si legge, infatti, che la transizione demografica che attraverserà il paese potrà “solo parzialmente essere compensata dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento”. Tradotto: non si ipotizza che ulteriori pensionamenti anticipati possano incidere sul bilancio dello stato, ma anzi che l’innalzamento dell’età pensionabile non sarà sufficiente a sostenere gli squilibri.
Le scelte del governo
Un ulteriore indizio arriva dalle attuali mosse del governo, un antipasto di quello che potrebbe rappresentare il prossimo futuro della previdenza in Italia. Già dai primi mesi della legislatura il ministro del lavoro, Marina Calderone, aveva parlato della necessità di un intervento di riforma organico, che mettesse definitivamente in soffitta il recente modus operandi, che vede esecutivi di ogni colore politico intervenire praticamente in ogni legge di bilancio con provvedimenti non strutturali sull’età pensionabile. La riforma, ad oggi, non è ancora arrivata, ma sono passate già due manovre, in entrambe le quali è stato trattato il tema pensioni.
La stretta più consistente si è avuta con l’ultima legge di bilancio, in particolare su tre misure: Opzione donna, Ape sociale e Quota 103.
La prima sarà riservata alle donne con 61 anni di età al 31 dicembre 2023, un anno in più rispetto al 2022. L’età per poter richiedere l’Ape sociale è stata elevata a 63 anni e 5 mesi. Tre, invece, le penalizzazioni che colpiranno quota 103: una finestra più ampia, pensione calcolata con il contributivo e diminuzione dell’importo erogato fino a 67 anni di età (pari a 4 volte il minimale Inps invece che a 5). Una stretta che non ha risparmiato i giovani: quelli che hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 dovranno attendere una finestra di 3 mesi prima d’intascare la pensione e l’importo massimo ottenibile, fino a 67 anni d’età, è pari a 5 volte il minimo dell’Inps, cioè a 2.993 euro. Oltre a questi interventi, in vigore dal 1° gennaio 2024, la linea del governo è desumibile dalle parole del ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, espresse durante il passaggio in commissione parlamentare della legge di bilancio a fine dicembre. «Non c’è un ritorno all’austerità, ma alla disciplina con il nuovo patto di stabilità e crescita”, le parole del ministro. “Una disciplina necessaria dopo quattro anni di sospensione delle regole europee sui conti pubblici, un Lsd a cui siamo assuefatti. Il problema dell’Italia è il debito che deve essere tenuto sotto controllo altrimenti il Paese non ce la fa”.
Stop fino al 2044, poi si vedrà
I numeri sopra elencati portano a pensare che non ci sarà spazio per ulteriori interventi legati a pensionamenti anticipati nei prossimi anni. Questo almeno fino al 2044; dopo, infatti, si assisterà a una diminuzione graduale che porterà il rapporto tra spesa e Pil al 16% nel 2050 e al 13,9% nel 2070. Una rapida riduzione “determinata dall’applicazione generalizzata del calcolo contributivo che si accompagna all’inversione di tendenza del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati”. Per vent’anni il margine sarà molto stretto, poi chissà.
Michele Damiani, ItaliaOggi