E’ stata la settimana più difficile da quando nel 2022 ha assunto la guida dai Tim. Ma Pietro Labriola è convinto di aver preso la direzione giusta, che il piano “Free to run”, pensato per la nuova Tim senza la rete, sia in grado di sfruttare tutto il potenziale del gruppo per generare valore, nonostante la reazione negativa della Borsa. «Provo a fare una sintesi degli ultimi due anni. Siamo arrivati dopo tre profit warning e un impairment da 8 miliardi. Di fronte avevamo tre sfide — ricorda il ceo di Tim —: gestire le scadenze del debito in un contesto di mercato difficile con tassi alle stelle e due guerre in corso. Lo abbiamo fatto, rifinanziando oltre 7 miliardi in due anni, sembrava impossibile e ora ci stiamo attrezzando per garantire una copertura adeguata fino al 2029. Secondo, abbiamo riportato l’operatività in una situazione di normalità, soprattutto in termini di competitività: gli indicatori di performance parlano chiaro, il trend è in costante miglioramento sia per i ricavi che per Ebitda. Sul domestico siamo tornati a crescere dopo 22 mesi in calo. Terzo e non meno importante, siamo a un passo dal risolvere definitivamente il fardello del debito con la vendita della rete. Abbiamo reso reale un progetto che da 20 anni teneva banco. Ora sul tavolo ci sono 22 miliardi: abbiamo accettato un’offerta da 18,5 miliardi che porterà al closing entro l’estate».
Questo è quello che ha fatto, ma il mercato guarda avanti e il giudizio che ha dato sul piano di Tim al 2026 è stato negativo.
«Anche io guardo avanti. Con il piano 2024-2026 Tim torna a generare cassa, a livello di Gruppo e in Italia, abbiamo davanti quasi 3 miliardi di potenziali earn-out, stiamo negoziando la cessione di Sparkle, elementi che contribuiranno senza dubbio ad accelerare le nostre riflessioni in materia di remunerazione agli azionisti. Il nostro obiettivo è una storia industriale solida e non uno e spezzatino. Siamo concentrati sul raggiungimento degli obiettivi del piano e sulla crescita del business domestico».
Che spiegazione si è dato per l’ondata di vendite?
«Certamente c’è un tema di aspettative di generazione di cassa nel biennio in corso ma è anche vero che il nostro è un titolo molto liquido, che siamo nel mezzo di un’operazione delicata e siamo più esposti alle vendite allo scoperto. Non a caso nel giorno del piano il prestito titoli ha raggiunto un picco, è presumibile che qualcuno abbia scommesso al ribasso. Ricordo che 16 banche d’affari esprimono un target price ben superiore ai prezzi attuali e in prevalenza con buy. Dobbiamo guardare avanti e condividere col mercato che il nuovo percorso è appena cominciato ed avrà grandi prospettive. Sono convinto che post cessione si vedrà maggiore ottimismo».
Pensa che sia stata solo speculazione o c’è qualcosa di più?
«Non spetta a me fare considerazioni, spetta a Consob fare le sue verifiche».
Parliamo del piano, è il primo di Tim senza la rete. Dopo oltre dieci anni che se ne parla sta per succedere. Cosa è cambiato?
«Le nuove sfide del mondo digitale spingono sempre più verso la sostituzione della rete in rame con quella in fibra, un passaggio che richiede forti investimenti per almeno 1,5 miliardi l’anno per 6-7 anni. Per una Tim verticalmente integrata significherebbe sostenere ingenti investimenti, il 28% del fatturato, soglia insostenibile. Per una società infrastrutturale il discorso è diverso. E’ questa la logica di creare NetCo e venderla. Inoltre, se restiamo verticalmente integrati non potremmo partecipare al consolidamento: guardate l’operazione Fastweb-Vodafone, il mercato sta cambiando».
Perché il piano parta serve concludere la vendita di NetCo. Quanto ci vorrà?
«Il closing è previsto tra giugno e luglio ma non stiamo aspettando la vendita della rete per fare le cose, le stiamo già facendo».
I vostri concorrenti lamentano che gli accordi previsti dal “master service agreement” che regolerà i rapporti tra Tim e NetCo vi danno un vantaggio.
«Non vedo elementi neanche potenziali di rischio. I servizi venduti da Netco a Tim saranno forniti in regime di non discriminazione per tutti gli operatori, praticando una politica di prezzi equamente accessibile a tutti».
Della rete cosa resterà in Tim?
«Manterremo tutta l’intelligenza della rete fissa e continueremo a essere l’operatore più infrastrutturato. Tim ha il backbone più distribuito sul territorio, la rete mobile col miglior spettro 5G e la principale infrastruttura di Data Center del Paese, ben 16 dietro a noi al secondo posto ci sono due operatori non Tlc che ne hanno quattro ciascuno».
Sarà una competizione in gran parte giocata sui servizi?
«Vogliamo costruire una vera e propria customer platform di servizi e contenuti. Dopo Netco potremmo sfruttare al meglio quello che abbiamo costruito. Potremmo offrire una connessione in fibra a 10 giga, 2 linee mobili e i contenuti di Disney, Prime, Netflix, Dazn e Apple+ più un’iPhone a un costo fisso e in un unico pacchetto. Nessun concorrente oggi è in grado di farlo. Senza dimenticare che potremmo aggregare anche altri prodotti, dall’energia alle assicurazioni».
La parte più ricca del mercato è nel segmento business. Qui che piani ha la nuova Tim?
«Il piano prevede una crescita del 6% in un mercato enterprise che cresce tra il 4-5%. Il trend della tecnologia sta spingendo la migrazione sul cloud, dove si stanno spostando anche i servizi di cybersecurity. L’Iot sta diventando sempre più importante. Faremo leva su queste direttrici e cresceremo più del mercato, considerando che siamo anche i primi azionisti del PSN, il cloud dove sta migrando la Pubblica amministrazione».
In ServCo il maggiore azionista resterà Vivendi. Può avere un ancora un ruolo?
«Io spero che continui a essere un’azionista ma che sia anche all’interno del Cda per supportare tutte le scelte strategiche del gruppo. E’ giusto che un socio al 23,7% dia il suo contributo all’interno del consiglio e quindi auspico che in qualche modo possa esserci una convergenza».
Teme rischi per la lista del Cda?
«Assieme al consiglio uscente abbiamo fatto tutto ciò che era nelle nostre possibilità per arrivare a un’operazione fondamentale per il futuro di questa azienda, grazie anche al supporto delle istituzioni».
Federico De Rosa, corriere.it