Stop al greenwashing e all’ambientalismo di facciata nei rapporti con i consumatori: sulle comunicazioni e sulle pubblicità tinte di verde, ma senza sostanza, cala la condanna del parlamento dell’Unione europea, che il 17 gennaio 2024 ha approvato una direttiva che modifica le precedenti direttive 2005/29/Ce (pratiche commerciali sleali) e 2011/83/Ue (diritti dei consumatori).Il provvedimento, che deve ora essere approvato definitivamente dal Consiglio Ue e, poi, essere pubblicato nella Guue, esplicita il carattere abusivo delle asserzioni green delle imprese prive di fondamento.
Eppure, come riporta una scheda informativa della Commissione europea, nell’Ue esistono già diversi sistemi di etichettatura di sostenibilità. La Commissione ha contato 230 marchi di qualità ecologica volontari; 901 sistemi di etichettatura nel settore alimentare; 100 etichette private per l’energia verde. Il fatto, però, è che, sempre stando alla scheda della Commissione, solo il 35% delle etichette di sostenibilità richiede dati specifici per dimostrare la conformità ai requisiti di etichettatura. E se l’80% dei negozi online, delle pagine web e degli annunci pubblicitari contiene informazioni sull’impatto ambientale dei prodotti confezionate come “indicazioni ecologiche”, il 56% dei consumatori dell’Ue ha dichiarato di essersi imbattuto in dichiarazioni ecologiche fuorvianti.
In questo quadro l’inserimento delle asserzioni verdi infondate tra le pratiche ingannevoli è una esplicitazione opportuna, anche se per punire certe condotte sarebbero già sufficienti le norme già in vigore. Altrimenti detto: l’Europa fa bene a mettere nero su bianco che il belletto ambientalista è sleale, ma per arrivare allo stesso risultato, senza aspettare il recepimento della direttiva, ci sono già gli articoli 21 e 22 del codice del consumo (dlgs 206/2005). Se così non fosse, bisognerebbe rassegnarsi a tollerare sleali cosmetiche condotte commerciali ispirate all’apparente ambientalismo ancora per un periodo lunghissimo: a partire dall’entrata in vigore, infatti, ci saranno 24 mesi di tempo per il recepimento della direttiva da parte dagli stati membri e ulteriori sei mesi prima che la stessa diventi operativa, per un totale di vacatio legis di due anni e mezzo. Ma così non è, considerato che, nelle more dell’inizio di efficacia della norma speciale, hanno margine di azione le norme generali già recepite dal Codice del consumo.
Peraltro, le disposizioni in itinere sul greenwashing sono rilevanti perché permettono di delineare i profili di illiceità che, per il momento, sono da ricondurre alle norme generali del Codice del consumo.
In particolare, nella direttiva (si fa riferimento al testo adottato dall’Europarlamento e diffuso dal sito www.europarl.europa.eu) si interviene sull’elenco delle pratiche ingannevoli, cioè quelle che inducono il consumatore a scelte che non avrebbe compiuto se avesse saputo come stanno effettivamente le cose.
La nuova direttiva novella la direttiva 2005/29/Ce (direttiva sulle pratiche commerciali sleali), innanzi tutto, inserendo nuove definizioni di parole e concetti chiave, a partire da “asserzione ambientale”, usata quando (in qualsiasi forma, compresi testi e rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche, quali marchi, nomi di marche, nomi di società o nomi di prodotti) si dichiara, per prodotti, marchi e operatori, un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure meno dannoso per l’ambiente rispetto ad altri prodotti, categorie di prodotto, marche o operatori economici oppure, ancora, il miglioramento dell’impatto ambientale nel corso del tempo.
Aggiunte nuove voci al vocabolario, la novella inserisce tra le azioni commerciali ingannevoli, le informazioni false e ingannevoli (anche se vere) che descrivono caratteristiche ambientali o sociali e aspetti relativi alla riciclabilità dei prodotti.
È individuata con l’attributo della ingannevolezza anche la pratica consistente nella formulazione di un’asserzione ambientale relativa a prestazioni ambientali future, ma senza impegni chiari e oggettivi, trasparenti e verificabili, senza un cronoprogramma preciso e indicazione dei fondi destinati e, infine, senza la verifica di un soggetto terzo indipendente. Segue lo stesso destino (inserimento nella lista delle condotte ingannevoli) la pubblicizzazione come vantaggi per i consumatori di elementi irrilevanti, che non derivano dalle caratteristiche del prodotto o dell’impresa.
Le pratiche illecite possono consistere anche in omissioni e la direttiva in esame allunga la lista delle omissioni ingannevoli colorate di verde: si tratta del “non detto” a proposito del metodo usato per confrontare prodotti in base alle caratteristiche ambientali dei prodotti e dei fornitori. In dettaglio, depone nel senso della ingannevolezza il comportamento dell’operatore economico che, nel fornire un servizio di raffronto fra prodotti e nel comunicare al consumatore informazioni sulle caratteristiche ambientali o sulla riciclabilità, dei prodotti o dei fornitori di tali prodotti, è reticente a riguardo delle informazioni sul metodo di raffronto, sui prodotti raffrontati e sui fornitori di tali prodotti, così come sulle misure predisposte per tenere aggiornate le informazioni.
Otre alla formulazione dei precetti generali relative alle clausole verdi solo nella facciata (quelli che il giudice deve applicare per verificare di volta in volta se una pratica, in concreto tenuta, sia abusiva o no), la novella allunga l’elenco delle pratiche che necessitano di minore accertamento, in quanto sono “in ogni caso considerate sleali”, aggiungendo all’allegato 1 della direttiva 2005/29 le pratiche commerciali “verdi” considerate in ogni caso sleali.
Rientra nell’arsenale anti-greenwashing, infine, un nuovo obbligo informativo introdotto, stavolta, nella direttiva 2011/83/Ue (diritti dei consumatori) e cioè l’obbligo, per i contratti a distanza e per quelli negoziati fuori dei locali commerciali, di informare il consumatore delle eventuali diverse opzioni di consegna dei beni differenziate in base a modalità di rispetto dell’ambiente. L’impegno Ue per promuovere il consumo sostenibile e tutela i consumatori dalle comunicazioni ingannevoli è un cantiere aperto. Sulle asserzioni ambientali il prossimo passo è richiedere alle aziende di comprovare le affermazioni ambientali utilizzando una metodologia standard. Inoltre, nel campo dell’ecodesign, l’Ue vuole introdurre norme minime nello sviluppo dei prodotti per rendere quasi tutti i prodotti sul mercato sostenibili, durevoli ed ecologici.
Antonio Ciccia Messina, ItaliaOggi Sette