Nel mondo del lavoro, stiamo sentendo sempre più parlare di “straining,” una situazione che può causare stress e problemi ai dipendenti. A differenza del “mobbing,” che coinvolge comportamenti ripetuti, lo “straining” può derivare da un singolo atto che mette a dura prova i lavoratori.
La Cassazione ha recentemente stabilito che, se un datore di lavoro crea un ambiente stressante e dannoso per un dipendente, anche attraverso un singolo atto, l’azienda è responsabile e deve risarcire il lavoratore. Questo è dovuto all’obbligo legale del datore di lavoro di proteggere la salute e l’integrità dei propri dipendenti, come prescritto dall’articolo 2087 del codice civile.
Il lavoratore ha fino a 10 anni dopo la fine del suo rapporto di lavoro per chiedere il risarcimento per danni derivanti dallo “straining,” indipendentemente dalla forma della fine del contratto (licenziamento, dimissioni, pensionamento o risoluzione consensuale).
Un esempio di “straining” riguarda un dipendente di una società di telecomunicazioni che ha subito un grave stress a causa del comportamento stressante di un superiore. Anche se si è trattato di un episodio isolato, la Corte ha ritenuto che l’azienda fosse responsabile in quanto non aveva protetto adeguatamente la salute del lavoratore.
La differenza principale tra “straining” e “mobbing” è che il primo può derivare da un unico atto, mentre il secondo richiede comportamenti ripetuti. Entrambi, tuttavia, possono avere gravi conseguenze per i lavoratori e rappresentano una violazione dei loro diritti fondamentali.
È importante comprendere questa distinzione poiché influisce sulle responsabilità dell’azienda nel garantire un ambiente di lavoro sano e sicuro per i propri dipendenti.