I prezzi alla produzione in Cina hanno segnato a giugno una contrazione annua a -5,4%, peggio del -4,6% di maggio e del -5% atteso dagli analisti: si tratta, in base ai dati dell’Ufficio nazionale di statistica, della nona frenata mensile di fila e della più ampia da dicembre 2015 a causa dell’indebolimento della domanda e della moderazione dei prezzi delle materie prime.
I nuovi segnali di deflazione e di incertezza sull’economia cinese includono anche i prezzi al consumo di giugno, invariati su base annua (ritmo più lento da febbraio 2021), contro il +0,2% di maggio e il +0,2% stimato alla vigilia.
Lo slancio nella ripresa economica post-pandemica della Cina ha subito un rallentamento rispetto alle vivaci indicazioni del primo trimestre a causa della debole produzione industriale, della stagnante fiducia dei consumatori e delle crescenti difficoltà dell’export.
Le letture dell’inflazione più deboli del previsto hanno aggiunto nuove pressioni sul governo centrale per il varo di misure di sostegno più robuste, soprattutto per rilanciare i consumi.
L’inflazione complessiva, secondo gli analisti, dovrebbe salire a circa l’1% entro la fine del 2023, non limitando la capacità della Banca centrale cinese (Pboc) di allentare ulteriormente la politica monetaria. Il mese scorso la Cina ha tagliato i tassi ufficiali per aumentare la liquidità e ha promesso di adottare misure mirate per promuovere i consumi delle famiglie, rispetto a un obiettivo per l’inflazione media al consumo stimato da Pechino a marzo di circa il 3% per l’intero 2023. I prezzi sono aumentati del 2% nel 2022.
ANSA