(Luca Giampieri, prescription Nuovo) Qualche passante li osserva, generic mentre si avvicinano. Ma loro non sembrano farci troppo caso. Stanno facendo la coda per ricevere gratuitamente il pasto che potrà sfamare le loro famiglie per qualche giorno. Queste persone frequentano la Moschea della Misericordia: è il più grande edificio sacro islamico del Sud, inaugurato a Catania tre anni fa in pieno centro storico, nel quartiere Civita. Però coloro che bussano alla sua porta non sono solo immigrati provenienti dai Paesi musulmani. Sono soprattutto nostri concittadini: da due anni a questa parte, una volta al mese, la moschea distribuisce generi alimentari a chi, nella zona, non ha soldi per comprare qualcosa da mangiare. Sono soprattutto uomini e donne tra i 30 e i 70 anni, per lo più persone che hanno perso il lavoro 0 faticano ad arrivare a fine mese. La maggior parte ha famiglia. «Otto su dieci sono italiani», spiega a Nuovo Ismail Bouchnafa, direttore della moschea (si occupa dell’organizzazione, non è un imam). «I musulmani preferiscono rivolgersi alla chiesa, perché si vergognano a venire qui, dove 1 loro fratelli li riconoscono. Arrivano da Marocco, Tunisia, Egitto, Ghana e Senegal». «Raggiungiamo 700 persone» Bouchnafa è giunto in Italia dal Marocco nel 1989. Da un anno ha la nostra cittadinanza. Fino a qualche tempo fa lavorava nei supermercati. Ora gestisce un suo mini market che vende cibo etnico e locale. «Mi considero un italiano di fede islamica. La moschea è stata costruita per cambiare la visione che i cittadini hanno dell’immigrazione e per dare un contributo al Paese che ci ha accolti», dice. Tutto ciò è stato reso possibile dalla collaborazione con il Banco alimentare della Sicilia, associazione senza scopo di lucro fondata a Catania nel 1995: raccoglie il cibo nel magazzino di Belpasso (a pochi chilometri dalla città) e poi lo consegna alle sedi della Croce Rossa, alle parrocchie e anche alla moschea. Si tratta di beni di prima necessità – pasta, latte, olio, cereali, fagioli o biscotti – provenienti in gran parte dallo stesso Banco, che riceve anche donazioni, e in misura minore dall’Unione europea. «Qualcosa arriva pure dai supermercati, che offrono prodotti appena scaduti ma ancora commestibili, dalla Caritas e da cittadini», precisa Bouchnafa. «Nella nostra lista ci sono 113 nuclei familiari che si presentano con regolarità. C’è poi chi non ha ancora i documenti che certificano il diritto di ricevere aiuti: gli diamo comunque qualcosa, se è possibile. In totale raggiungiamo 700 persone circa». Per rientrare nella categoria degli aventi diritto, gli ospiti della Moschea della Misericordia devono dimostrare la propria condizione economica attraverso un documento pubblico, l’Isee, che attesta lo stato di grave precarietà. È tutto ciò che i volontari della moschea sanno di loro. «La
gente prende il sacchetto col cibo e se ne va. Non ha voglia di raccontare la propria storia», spiega Bouchnafa. Il picco di affluenze è capitato negli ultimi mesi. «Più andiamo avanti, più il numero dei bisognosi aumenta. Chi all’inizio della crisi aveva qualche risparmio da parte, ormai ha dato fondo alle proprie risorse. Parliamo di 4 milioni di nuovi poveri in Italia e sono in crescita». Un dato più edificante, però, secondo il direttore c’è. Ed è il fatto di «avere reso la convivenza tra italiani e musulmani più facile». Almeno, a Catacontinua a pag. 41 continua da pag. 39 nia. «La nostra moschea è un luogo aperto a tutti», afferma, «la gente può venire a vedere che cosa facciamo e dialogare con noi. Il risultato è racchiuso in una frase che mi hanno detto davvero tante volte: “Non pensavo che voi foste così”». È piuttosto favorevole pure padre Giuseppe Notari, parroco della Chiesa del Santissimo Crocifisso dei Miracoli: è in via Pantano, a pochi passi da piazza Cutelli, dove da tre anni c’è la Moschea della Misericordia. «Io li conosco da tempo: è una comunità islamica attiva e integrata, riconosciuta dagli enti locali, che vive il dialogo dell’esperienza religiosa e delle opere. Perché è nelle opere che ci si trova, non nelle ideologie». Però il sacerdote non nasconde che un velo di diffidenza rimane: «Penso sia giustificato, considerato quello che sta succedendo nel mondo. Lo strapotere di un Isiam prevaricatore non può che generare chiusura». E proprio dall’Isiam più radicale prende le distanze Bouchnafa: «Nell’Isis non c’è alcun concetto di Stato, tanto meno quello di religione islamica». Un punto di vista che l’editorialista de il Giornale Vittorio Feltri respinge con molta forza. L’autore del recente libro
Non abbiamo abbastanza paura. Noi e l’isiam: (Mondadori) dice a Nuovo: «Davanti all’Isis, le comunità islamiche che sono in Italia non si sono mai schierate. Rimangono zitte. Evidentemente approvano». Poi aggiunge: «Non capisco perché si debba prendere a esempio una moschea quando, nel nostro Paese, è pieno di associazioni di carità con una tradizione ben più consolidata nel tempo. La realtà di Catania è marginale e irrilevante». Invece per Angelo Villari, assessore alle Attività sociali del Comune, l’iniziativa della moschea dimostra che «l’atteggiamento di accoglienza è apprezzato e che la nostra comunità islamica vuole davvero integrarsi». Però rassicura i suoi cittadini: «Se una parte dovesse esprimere atteggiamenti estremistici, noi non saremo affatto teneri!». •
ALL’OPERA Catania. Nella moschea, il direttore Ismail Bouchnafa (47 anni, a sinistra con la camicia bianca) verifica la “* distribuzione del cibo. In un’altra ; sala (sopra) sono raccolti sacchi con i generi alimentari, che
vengono forniti alle famiglie povere, italiane e straniere. A destra, Bouchnafa, che è di origine marocchina, ; indossa l’abito ‘ tradizionale. \nI PARERI VIP Rita Dalla Chiesa ì «IN QUESTA SCELTA CI HANNO MESSO IL CUORE “È un progetto nobile, una risposta a coloro i quali non hanno un; buona opinione dei musulmani, li questa azione altruistica, ci hanno messo il cuore. Cosa che noi, spesso, dimentichiamo di avere. Non commettiamo Terrore di pensare che dietro questa beneficenza ci sia del marcio”.
LE SCRITTE IH DDE LINGUE Sulla facciata del grande edificio islamico catanese il nome della moschea è scritto in italiano e in arabo. Nelle due lingue si legge anche: «In nome di Dio misericordioso e clemente». Questa è la frase iniziale della prima Sura del Corano, il Libro sacro dei musulmani.
Cesare Lanza «VA BENE PURCHÉ DIETRO NON CI SIA UN CALCOLO» «Non voglio avere pregiudizi. Ritengo che un’iniziativa così sia apprezzabile indipendentemente dalle polemiche, dalle religioni e dai conflitti ideologici. Sono pronto a cambiare opinione se dietro ci fosse una meschi- [~~^^^~~~| nità, un calcolo. Ma L M ^ H J H fino a prova contra- I ^ ^ ^ ^ ^ H ria, trovo che sia un progetto lodevole».
Alda D’Eusanio «D,OPOL’11 SETTEMBRE C’È ANCORA DIFFIDENZA» «È un’iniziativa intelligente, perché aiutare chi ha bisogno è indice di umanità e civiltà. Che lo faccia una moschea è quasi un atto dovuto, perché i musulmani sono stati accolti in Italia con generosità. Anche se, BgPSffiKi dopo gli attentati dell’11 settembre, la diffidenza è ‘ molto cresciuta».
Gianluigi Paragone «IL PROSELITISMO SI FA CON METODI DIFFERENTI» «Intanto distribuire cibo ai poveri è un atto di solidarietà: i secondi fini è difficile vederli. Altrimenti dovremmo sospettare di chiunque fa beneficenza: magari vuole solo lavarsi la coscienza. E in ogni caso non è con un gesto | “•:”-, – l come questo che si fa proselitismo religioso, le dinamiche sono differenti».
Alba Panetti «E UN MODO PER FARSI ACCETTARE DALLA CITTÀ» «È un gesto apprezzabile e, dato che non vogliono nulla in cambio dalle famiglie italiane, non nutro alcun dubbio sull’onestà del loro operato. Semplicemente, questo è un modo molto carino per farsi accettare dalla città che li ospita e f per far conoscere la propria cultura, spesso temuta». «Conto l’bis loro non si schierano mai sul serio»
II giornalista di origine egiziana, diventato cristiano, pensa che le moschee siano sempre una minaccia Nel 2008 Magdi Aliarti, giornalista e scrittore egiziano diventato italiano, si è convcrtito al Cattolicesimo, assumendo anche il nome di Cristiano. Da allora è critico con il mondo musulmano, così come con il dialogo tra religioni e il processo di legittimazione avviato con l’Isiam da parte della Chiesa. Come valuta l’iniziativa della moschea catanese? «La trovo sconvolgente. Lo Stato italiano andrebbe processato, perché non è in grado di tutelare la sua gente. Anziché devolvere le risorse agli italiani, privilegia gli stranieri. È vergognoso che, per sopravvivere, i suoi cittadini debbano fare la fila davanti a una moschea». Che cosa intende dire? «Una moschea non dovrebbe essere una mensa per gli italiani (raccogliendo cibo donato, in realtà, da altri) e accreditare un’immagine che non corrisponde alla realtà». Le sembra un’operazione di marketing della fede? «In Italia, e in Europa in generale, stiamo subendo un processo di islamizzazione che si sviluppa attraverso le moschee e le loro opere apparentemente caritatevoli». Non potrebbe rappresentare un buon esperimento? «Non serve trasformare una moschea in mensa collettiva per dimostrare bontà e affidabilità. La pacifica convivenza viene garantita dalle leggi dello Stato e dalla condivisione di ben altri valori universali». Ci starebbero comprando con un pacco di pasta? «Non credo che un pacco di pasta basti ad avvicinare i catanesi all’Isiam. Tanto più se dietro ci sono i soldi, gli sforzi e le risorse degli italiani». Il direttore
della moschea sostiene che l’Isis non ha nulla a che fare con l’Isiam. È il caso di credergli? «All’ultimo meeting di Rimini, Douglas Al- , ^ ^ _ ^ _ _ Bazi, parroco di Erbil, città nel Nord dell’Iraq, ha detto: “Se ritenete che l’Isis non c’entri con l’Isiam vi sbagliate. L’Isis lo rappresenta al 100 per cento”, lo credo che il direttore Ma3 Berna (OMa). Mitraglia antiaeree montate sulle jeep con il vessillo dell’lsis.