(di Tiziano Rapanà) E allora? Dove sono i probi congiurati del cenacolo della benevolenza? Non li vedo più. I pontificatori a tinte soft che ci indicano la via migliore sia nel mangiare che nel bere. E questo no, quest’altro non ne parliamo proprio, e quest’altro ancora fa solo danni… e andiamo avanti così tra divieti su divieti. Non voglio cadere nella scena madre da copione teatrale, qui non mi vedrete sbottare come testo prevede. Non diro: “E lasciateci mangiare come ci pare!”. Qui il problema è un altro ed è, se mi consentite, più sottile. Ossia che il senso della misura è gradito sia nell’eccesso che nella privazione. Non è solo questione di porzioni, ma di rinunce totali. E questo futuro di etichette a più non posso sembrano portarci lì: per il bene nostro e del pianeta e per chi volete voi. Ma chi ve lo dice che, alla fine della giostra, il pianeta ci ringrazierà? O il nostro organismo resterà intatto? Noi non lo sappiamo. L’imprevisto è dietro l’angolo e potremmo maledire quel tanto che non abbiamo mangiato o bevuto. E non parlo di fatalità, perché è fin troppo facile gettarsi nel pessimismo assoluto, ma dei piccoli fastidietti che disturbano il nostro incedere quotidiano. E dunque essere parchi e moderati serve? Certo che sì, ma non esageriamo. Quei venti grammi di spaghetti in più, ogni tanto, sono più che consentiti.