La Galleria Lo Magno di Modica festeggia i suoi trent’anni di attività nel campo dell’arte contemporanea e sceglie di farlo esponendo fino al 30 gennaio trenta opere di artisti siciliani tutte rigorosamente nel formato 30×30. “Con questa collettiva – spiegano Giuseppe Lo Magno e Valeria D’Amico, curatori della mostra – mettiamo a parete i nuclei fondamentali della vita della Galleria, nata come corniceria. Il 30 è un numero che diventa dunque emblema di una storia di imprenditoria e creatività”.
Una storia che è anche siciliana e che riepiloga in questa iniziativa un lungo percorso multanime multiforme. Sono esposti oli, acrilici, pastelli, matite, smalti, stampe, collage, ricami e tecniche miste che danno infatti prova di una vivace versatilità e di una vena sperimentale che sembra connaturata al più sorgivo e invalente spirito artistico siciliano, trattandosi di realizzazioni quasi tutte del 2022. C’è anche, come in esergo e nella misura irregolare di 29×31 centimetri, un pastello su carta di Piero Guccione, omaggio al caposcuola di Scicli al quale non pochi degli artisti in mostra si richiamano. L’opera del celebrato “pittore del visibile” risale alla produzione romana degli anni Settanta, quando dipingeva anche scorci riflessi su fiancate e cofani di autovetture in sosta: e “Appunto per il giardino sulla macchina nera” si intitola il pastello presentato a Modica.
Dello storico “Gruppo di Scicli” – certamente tra i più interessanti movimenti artistici italiani del Novecento: come tale riconosciuto anche da Vittorio Sgarbi – si trovano pure Giuseppe Colombo (autore di uno “Studio dalla conversine di San Paolo” che raffigura un cavallo stilizzato su fondo oro, realizzato non a caso a matita e pastello, mezzi espressivi propri di Guccione) e Giovanni La Cognata, autore di un intenso volto di donna in olio su cartone dai tratti provati e come ebbro per gli effetti dell’alcol. Artisti che hanno esposto in mostre dello stesso Gruppo e presenti nel campionario modicano sono poi l’astrattista Rosario Antoci (versato nel frottage su scatole di medicinali e attratto da implicazioni astronomiche e scientifiche), l’originale incisore Sandro Bracchitta (del cui campionario è presente un acrilico che raffigura il mare sul quale in primo piano si staglia, applicato sulla tela ed esorbitante dai suoi contorni, un ramo aureo, simbolo del sacro apposto a un elemento naturale) e il geniale realista dall’occhio fotografico Giovanni Iudice, che ha contribuito al trentennale della Galleria con una sua matita dove risplende nella luce più abbagliante una sua tipica spiaggia popolata di bagnanti colti nell’estemporaneità del momento. Fra i nomi eccellenti dell’area iblea, la più rappresentata, figura anche quello del fotografo ragusano Giuseppe Leone, del cui vasto album è stato scelto uno scatto degli anni Ottanta, parte della nota rassegna dedicata a Ibla. Ma rappresentata è anche la “Scuola di Palermo”, essendo presenti Fulvio Di Piazza e Alessandro Bazan: il primo con una visionaria testa galleggiante del suo più riconoscibile repertorio, fatto di cieli sulfurei e fantasmagorici golem, il secondo con una fumettistica band in concerto da immaginare mentre suona musica jazz, il genere che fa da sinestesia all’arte del pittore che si è fatto un nome per aver portato i cartoon nelle tele. Insieme con Francesco Di Grandi e Andrea Di Marco, Di Piazza e Bazan si sono distinti nella missione intesa a ripristinare il figurativo contro l’imperante gusto concettuale e il ricorsivo rigurgito informale. Aderiscono allo stesso richiamo all’ordine Giovanni Viola, che in un giovane matematico in abiti medievali e il compasso in mano al lavoro davanti alla finestra mutua Vermeer in un d’après; Fortunato Pepe e la vecchia moribonda a letto, illuminata dal bianco di una lampada sul comodino che ne lascia metà del corpo al buio della morte; Emanuele Giuffrida e la ragazzina crucciata ricalcata da una vecchia foto di famiglia ritrovata in un album di casa; Marco Bunetto e le sue solitarie cabine telefoniche dismesse; Giovanni Blanco e la ragazza nuda come tributo a Courbet. Ma già da Francesco Lauretta e dalla sua gradinata di una cattedrale investita da una luce spettrale, come da Umberto Agnello, che nelle architetture urbane sembra ricercare elementi di natura, da Orazio Battaglia, che vede la Chiesa romana di Santa Maria degli angeli circonfusa in un monocromo evanescente, e da William Marc Zanghi, autore di una scena di nudisti profilata in un quadro di mantici elementi naturali come atolli, fiocchi di neve e iridi verticali, la tenuta del realismo cede a un astrattismo espressionistico che sembra avere la meglio nel campionario modicano, fatte salve le prove allegoriche e simboliche proposte dalle cancellature di Giusi Bonomo (che compone come un cartellone con foto di ragazze stuprate delle quali benda gli occhi per tutelarne l’anonimato), dal collage di foto miste in un tout de même di Davide Bramante (che si serve della tecnica delle esposizioni multiple per evocare visioni oniriche) o ancora dalla donna nuda avvolta nel bianco delle bende di Daniele Cascone (che nell’accolta di ossa al posto della testa denuncia il dramma dell’osteofilia, patologia diffusa quanto poco nota). Di forte suggestione e di diversa matrice, ma tutte offerte a un’interpretazione che richiede molteplici chiavi di letture, sono le opere di Francesco Balsamo, Giuseppe Bombaci, Melissa Carnemolla, Andrea Cerruto, Ignazio Schifano, Giovanni Robustelli, Sofia Storniolo, Rossana Taormina e Samantha Torrisi. Si tratta di esperienze che muovono da vicende personali tutte riconducibili a un pensiero unico: il superamento della realtà non come sua negazione, ma come nuova dimensione di essa. Resta da chiedersi se sia proprio questa la cifra più autentica della ricerca pittorica siciliana maggioritaria.