Lavorare al Sud non conviene, o conviene meno che in altre parti d’Italia. E questa potrebbe essere una delle ragioni che hanno spinto dal 2007 a oggi più di 800mila persone a lasciare le città del meridione per emigrare al Nord. Il dato emerge dall’ultimo Rapporto sull’economia campana elaborato dal centro studi di Confcommercio. Una tendenza destinata ad accentuarsi in futuro: nel 2030 i residenti nell’area dovrebbero scendere da 19,9 a poco più di 18 milioni, e nel 2050, il calo del Mezzogiorno rappresenterà quasi il 70% di quello atteso per l’intero Paese. Analizzando il tasso di occupazione, se il Centro-Nord (65,3%) si avvicina al resto d’Europa (68,4%), il Sud (44,8%) ne resta troppo lontano, soprattutto nella componente femminile (33,2%). Le cose sono ancora peggiori in Campania: tasso di occupazione totale 41,3% e di occupazione femminile 29,1%. Ne risente anche il Pil. Il prodotto interno lordo al Sud è fermo al 3,4%, 17 punti in meno di quello del Nord che è al 20,3%. Le dinamiche demografiche spiegano in parte questo distacco: la popolazione del Nord cresce del 9,3% (sempre tra il 1996 e il 2019), quella del Sud si riduce del 2%. Secondo le previsioni di Confcommercio il sud crescerà meno del resto del Paese e la Campania appare leggermente più debole delle altre regioni . In particolare il Pil 2022 italiano dovrebbe attestarsi al 3%, quello del Sud al 2,9% e la Campania si fermerà al 2,2%.
Pesano anche le previsioni sull’andamento dell’inflazione. Il 2022 si potrebbe chiudere con un’inflazione media al 7,5%. Mentre nel mese di ottobre i prezzi al consumo salirebbero ancora, segnando un rialzo del 9% su base annua (dall’8,9% di settembre). A pesare è sempre il caro-energia: metà dell’inflazione, infatti, è causata dall’energia in modo diretto (tra il 60% e 80% in modo anche indiretto comprendendo le materie prime alimentari e non).