Sono tempi duri per i lavoratori, ma anche per gli imprenditori. Il forte aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime ha messo a dura prova l’equilibrio di bilancio di molte imprese che in alcuni casi rischiano di chiudere. «La cosa più importante è ristabilire fiducia nella crescita», spiega Marco Tronchetti Provera, vicepresidente e amministratore delegato di Pirelli, in questa intervista a Repubblica.
Dottor Tronchetti, quali sono le cause dell’esplosione dell’inflazione in Europa e in Italia?
«Per capire meglio occorre distinguere due fasi: la prima è legata alla reazione successiva alla frenata dell’economia imposta dalla pandemia, con 4 miliardi di persone a casa e una forte diminuzione degli stock nei magazzini delle imprese. La ripartenza ha creato una prima ondata inflazionistica, anche benvenuta visto che si usciva da un periodo buio, e che si pensava potesse normalizzarsi entro la fine del 2022. Poi però si è innestata la guerra in Ucraina che ha provocato un’ulteriore strozzatura dell’offerta, non solo di prodotti energetici ma di tutta una serie di materie prime che provengono dalla Russia e dall’Ucraina, come il litio, il cobalto, il nickel. Il risultato è che ora l’aumento dei prezzi è sensibile ed è difficile prevedere quando possa rientrare».
A fronte di questa situazione le banche centrali sia americana che europea hanno deciso di alzare prepotentemente i tassi. Una scelta giusta secondo lei?
«Non vi è dubbio che vi sia una grande difficoltà macro nel trovare un equilibrio tra un raffreddamento dei prezzi e il mantenimento di una soddisfacente crescita economica. Va bene alzare un po’ i tassi ma bisogna stare attenti a non bloccare gli investimenti, bisogna ricreare stabilità, oggi c’è troppa incertezza. E bisogna agire subito perché se si entra in recessione poi tutto è molto più difficile».
L’Europa però sotto il profilo della crescita può contare sulle risorse messe in campo dal Pnrr, più di 200 miliardi che prima o poi sprigioneranno la loro spinta propulsiva.
«Sì è vero ma c’è un divario temporale tra la messa a terra dei progetti del Pnrr e il loro effetto positivo sull’economia. Ci vorranno almeno un paio d’anni perché i benefici si possano toccare con mano e nel frattempo noi rischiamo un forte rallentamento dovuto ai fattori elencati prima. Bisogna agire a livello europeo per mettere in campo subito alcune soluzioni che permettano di superare questa fase di incertezza che rischia di vanificare gli sforzi perseguiti finora».
In particolare a quali interventi pensa?
«Già si parla da tempo dell’introduzione di un price cap per il prezzo del gas e del petrolio, ma sono corretti anche gli interventi allo studio per impedire il frazionamento nei vari paesi nella trasmissione della politica monetaria. Inoltre è necessaria una maggiore compattezza dell’Europa nell’acquisto di materie prime, che non può avvenire in maniera autonoma per i 27 paesi dell’Unione. L’Europa ha fatto un grande passo avanti nel trovare misure comuni per combattere la pandemia, ora deve fare un ulteriore salto nella gestione comune dell’economia, per poter competere con Usa e Cina che sono compatte al loro interno».
Non basterebbe trovare un accordo a livello nazionale per aumentare i salari dei lavoratori e impedire che l’inflazione ne eroda il potere d’acquisto?
«L’idea del tavolo è giusta. L’Italia però ha accumulato un divario di produttività altissimo nei confronti degli altri paesi europei, in particolare con la Germania. Quindi non è sufficiente ritoccare i salari, deve esserci un progetto comune per ribilanciare salari, stipendi, fiscalità e produttività insieme a una prospettiva di sviluppo del paese che permetta di colmare i punti di debolezza. È un tema macro che ovviamente non può prescindere dalla realizzazione del Pnrr».
Quale potrà essere il contributo degli imprenditori a questo progetto? Lo stato può rinunciare a parte delle entrate riducendo il cosiddetto cuneo fiscale, ma poi serve il contributo anche degli industriali.
«Gli imprenditori devono far tornare i loro conti tra aumenti dei costi e riduzione della domanda in alcuni settori, ma in generale il fattore più importante è ristabilire le aspettative di crescita in modo da non bloccare gli investimenti. Abbiamo maturato una forte credibilità internazionale con il governo Draghi e compiuto passi per beneficiare delle risorse del NextGenEu, dobbiamo sfruttarli e non disperderli all’interno di un disegno di maggiore integrazione europea. L’Italia non può rilanciarsi da sola, se non prendiamo iniziative in questo senso rischiamo un autunno molto critico, dal punto di vista sociale ed economico».
Bisognerà anche convincere la Germania che non si tratta solo di salvare l’Italia ma che è interesse di tutti rilanciare l’Europa.
«Sì, proprio così, è interesse di tutti i paesi europei usare la forza economica del Vecchio Continente per giocare un ruolo diverso a protezione dei propri interessi. Non è un processo semplice, ma paradossalmente si può fare sotto la spinta della guerra che ci ha messo di fronte ai nostri problemi. Siamo uniti a livello geopolitico, siamo l’area del mondo più ricca e con il welfare più radicato, siamo un miliardo di persone con i Pil più sviluppati, se non giochiamo uniti non riusciremo a vincere».
Giovanni Pons, Repubblica.it