Alla fine, quando verso le undici del mattino è uscito da palazzo Chigi dopo aver incontrato il premier Draghi e il ministro Colao per parlare di metaverso e investimenti in Italia, la domanda era sempre la stessa: ma Mark Zuckerberg è venuto per noi, perché l’Italia è importante nella sua strategia, perché nell’innovazione contiamo qualcosa, perché vuole fare investimenti nel nostro paese? O è venuto perché si trovava da queste parti?
Perché l’altra volta, il 29 agosto 2016, quando in tanti tornarono prima dalle ferie a Roma per stringergli la mano o farsi un selfie, poi si scoprì che era da queste parti solo perché era stato ad un matrimonio sul lago di Como (si sposava il suo amico Daniel Ek, il fondatore di Spotify); e visto che c’era aveva fatto una tappa a Roma. Era il 2016, il che vuol dire che Facebook e il suo fondatore nell’immaginario collettivo militavano ancora nel partito dei buoni che lavorano per salvare il mondo o renderlo migliore (lo scandalo di Cambridge Analytica, l’inizio di tutti i mali per Facebook, non era ancora scoppiato). Insomma quella volta lui, con al fianco la moglie Priscilla, venne accolto come una star: prima da papa Francesco, al quale portò in dono il modellino di un drone ad energia solare che un giorno avrebbe dovuto portare internet in tutto il mondo (progetto abortito); poi dal premier Matteo Renzi che lo accolse con una copia di antiquariato del trattato di Cicerone sull’amicizia visto che Facebook era nato con lo slogan “add as a friend, aggiungi come amico”; e infine, giusto il tempo di levarsi la divisa da Blues Brothers per tornare in jeans e maglietta, tappa nella università di Confindustria, la Luiss, dove un centinaio di giovani imprenditori lo avevano osannato quando aveva paragonato il mito di Enea alle vicende degli startupper.
Altri tempi. Esemplificati dalla frase chiave del discorso di allora, quando rispondendo ad una domanda sulla responsabilità di Facebook per i contenuti degli utenti, disse: “Siamo una società di tecnologia, non una media company. Non produciamo e non modifichiamo contenuti. Mettiamo a disposizione gli strumenti per connettervi”. Il dilagare delle fake news, alimentate dagli algoritmi, ribalterà la comoda prospettiva.
Quella era, in realtà, la seconda volta di Zuckerberg a Roma. La prima, dieci anni fa: la luna di miele con Priscilla Chan, il suo amore di sempre. Era la fine di maggio e i due giovani sposi arrivarono inseguiti da frotte di paparazzi che documentarono il soggiorno nella suite di un hotel a cinque stelle a piazza di Spagna, la visita nella Cappella Sistina e anche la cena in una storica trattoria del Ghetto, da Nonna Betta, dove per 32 euro la coppia aveva mangiato carciofi alla giudia, fiori di zucca e ravioli ripieni, senza lasciare un dollaro di mancia, cosa di cui pare nonna Betta si dolse assai ma che ai tempi la stampa anglosassone perdonò al fondatore di Facebook perché, si disse, aveva semplicemente fatto a Roma quello che fanno i romani: non lasciano (quasi) mai la mancia.
Per la verità una volta Zuckerberg è venuto in Italia non a causa di un matrimonio: era senza la moglie e non fece tappa a Roma. Andò (in elicottero) ad Agordo, in Cadore, nelle sede di Luxottica, per incontrare il fondatore Leonardo Del Vecchio (che ha rincontrato in questi giorni) e visitare gli stabilimenti. Ai tempi nessuno poteva immaginare che quella visita doveva servire a suggellare una alleanza, questa sì, strategica: per fare occhiali connessi in grado di farci entrare nella realtà virtuale, oggi il metaverso. Va detto che i Ray-Ban stories finora sono stati un flop, così come il metaverso è ancora una dimensione difficile da definire. Ma le vie dell’innovazione sono lastricate di fallimenti necessari. E qualche volta portano a Roma.
Riccardo Luna, Repubblica.it