(di Mauro della Porta Raffo, Presidente onorario della Fondazione Italia USA ) 1951/1961, costringendo, il Decennio che ha cambiato il Mondo e qualche conseguente, non poi divagante, articolazione.
Il forte ‘fil rouge’ comunque ‘rivoluzionario’, storico, ideologico, sociale, economico, che accomuna e connette il Guatemala di Jacobo Arbenz Guzman, attraverso ma non solo
Ernesto ‘Che’ Guevara,
la
Cuba ‘Castrista’,
l’annuncio e il profilarsi del
‘Declino’ del per il vero breve ‘Secolo Americano’,
i nascenti ‘terzomondisti’ ‘Paesi non Allineati’,
(e non è forse nel 1961 che viene pubblicato uno dei libri fondamentali – l’altro essendo ‘I limiti dello sviluppo’, e di entrambi mi occupo nelle Note che non concludono queste righe essendo seguite dal mio ‘La città bianca’ anche nella versione in serbo – se non dell’intero secolo almeno del Secondo Novecento per le conseguenze culturali a livello mondiale che avrà, sovvertendo le precedenti convinzioni e convenzioni – quella del ‘Fardello dell’Uomo Bianco’, per dire – in proposito, ‘I dannati della Terra’, di Frantz Fanon con la pregnante, forse imperdibile, introduzione di Jean-Paul Sartre?),
nei testi dal medesimo ‘Gran Pignolo’ vergati in Varese (peraltro, nell’Appendice, invero, consistenti in un saggio felicemente commissionato sulla fondamentale ‘Conferenza di Belgrado’), nel trascorrere del tempo e nei giorni di un declinante marzo 2022, anno terzo della Pandemia, come, costringendo appunto,
rivisti e raccolti.
Uno:
Corre il 15 dicembre 1951 e
Jacobo Arbenz Guzman
viene democraticamente eletto Presidente del Guatemala.
Oltre settanta anni fa, un momento storico ignorato e in larga misura decisivo per il futuro dell’intero mondo dato che è nella sua scia che si appalesa la rivoluzionaria figura di
Ernesto ‘Che’ Guevara.
(Ripropongo di seguito il testo dell’articolo che sul tema ho pubblicato su ‘Anteprima’ nel giugno del 2014 in occasione del sessantesimo anniversario della successiva invasione del Paese guatemalteco stoltamente organizzata dagli Stati Uniti a seguito della quale ebbe per questa parte inizio il ‘Declino’ dell’effimero ‘Secolo Americano’).
Jacobo Arbenz Guzman – un militare di origini svizzere successore di Juan José Arévalo e già suo sostenitore – secondo dopo una lunga teoria di ‘Caudillos’ e dittatori, fu democraticamente eletto Presidente del Guatemala il 15 dicembre 1951.
Passarono solo sei mesi e il suo Governo, mantenendo le promesse fatte ai ‘Campesinos’ e agli Indios nel corso della campagna politica, promulgò la tanto attesa e rivoluzionaria Riforma Agraria.
Erano oggetto d’esproprio i fondi incolti e destinati a pascolo di estensione superiore ai novanta ettari e altresì quelli non direttamente coltivati.
Erano esentate le aziende a coltivazione intensiva.
I terreni demaniali potevano essere concessi in usufrutto perpetuo a singoli individui o a cooperative.
In poco più di un anno, circa cinquecentomila unità agricole sottratte ai latifondisti furono così ridistribuite ai contadini.
Tra i possedimenti oggetto di esproprio, ottantatremilaventinoveettari per l’appunto incolti appartenenti alla potentissima multinazionale americana ‘United Fruit Company’.
Accusato – la contrapposizione politica, ideologica e militare tra il Mondo Occidentale e quello Sovietico definita ‘Guerra Fredda’aveva preso consistenza praticamente dopo la fine del Secondo Conflitto Mondiale – per mezzo di una ben orchestrata manovra internazionale di propaganda di essere un comunista, Arbenz, che, nel frattempo, per fronteggiare l’opposizione USA e le conseguenti misure economiche avverse, aveva cercato di avvicinarsi a Mosca, dovette affrontare nei primi mesi del 1954, da principio l’ostilità dei Governi circonvicini e, in seguito, una vera invasione, organizzata dalla CIA (Allen Dulles, allora capo appunto dell’Agency e fratello del Segretario di Stato dell’Amministrazione Eisenhower John Foster Dulles, era un più che autorevole componente degli studi legali della citata ‘UnitedFruit Company’!), di fuoriusciti guatemaltechi coinvolti con i precedenti regimi agli ordini del Colonnello Carlos Castillo Armas.
Gli eventi precipitarono rapidamente e il Presidente fu costretto, per evitare una sanguinosa guerra civile, a dare le dimissioni e, tra il 27 e il 28 giugno 1954, ad andare in esilio.
Di tutto questo, forse, non metterebbe conto parlare non fosse per il fatto che Ernesto ‘Che’ Guevara è proprio alla sua esperienza nel Guatemala di Arbenz che ha più volte fatto riferimento indicandola come momento decisivo di formazione politica.
Il ‘Che’, infatti, nel vivo di quella vicenda e in conseguenza del suo andamento, ricavò alcuni punti fermi del successivo proprio operare.
Guevara era arrivato in Guatemala nel dicembre del 1953 nel corso del secondo viaggio intrapreso in esplorazione del Continente Latino-americano.
L’intendimento era di mettersi al servizio del Governo Arbenz in qualità di medico.
Il pensiero del ‘Che’ a proposito della pacifica ‘Rivoluzione’messa in atto dal Presidente guatemalteco e l’effetto che su di lui ebbe la rapida fine dell’Esecutivo riformatore sono benissimo evidenziate dal contenuto delle lettere che il futuro insorto inviò all’epoca ai propri familiari in Argentina.
Nella prima, dipinge Arbenz Guzman come “un uomo duro, senza dubbio disposto a morire al suo posto se necessario” e, conseguentemente entusiasta, colà si offre per il servizio di Pronto Soccorso per le costituite Brigate Giovanili che, ritiene, dovrebbero addestrare militarmente i sostenitori del legittimo Governo.
Arbenz, però – giustamente, nel momento del cedimento della frontiera poco confidando nell’aiuto dell’Esercito – rifiuta altresì di difendersi dagli invasori distribuendo armi al popolo a cui continua di contro a chiedere di mantenere la calma per evitare un bagno di sangue.
Guevara al momento ne comprende gli intenti e ne giustifica l’azione.
Fuori gioco però nella temperie il Presidente e verificata l’impossibilità di una Rivoluzione ‘disarmata’, in una missiva indirizzata alla madre e datata 4 luglio, il ‘Che’ scrive:
“Tutto è accaduto come in un bel sogno che si cerca di far continuare anche da svegli.
La realtà sta bussando a molte porte e cominciano già a suonare le scariche che premiano la più accesa adesione all’antico regime.
Il tradimento continua ad essere patrimonio dell’Esercito e una volta di più resta provato l’aforisma che indica nella sua liquidazione il vero principio della Democrazia (e se l’aforisma non esiste, lo creo io)”.
La lettera prosegue descrivendo la sproporzione di forze esistente tra gli invasori e i cittadini fedeli ad Arbenz cui a quel punto addebita di non avere compreso che il momento richiedeva la distribuzione di idonei mezzi di difesa a tutti perché “un Popolo in armi è un’arma invincibile”.
“La cruda verità – conclude – è che il Presidente non ha saputo essere all’altezza delle circostanze”.
Di lì a poco, si rifugia in Messico.
L’esperienza vissuta e la conseguente delusione l’hanno segnato.
È pronto alla lotta contro l’Imperialismo che identifica negli USA e all’adesione ai principi marxisti.
Nel successivo novembre 1955, a casa di Maria Antonia Gonzales, incontrerà un giovane avvocato cubano in esilio che sta operando per organizzare una rivoluzione nell’isola: è Fidel Castro.
Anni dopo, il 30 luglio 1960, il ‘Che’, inaugurando a Cuba il Primo Congresso Latino Americano della Gioventù, rivolgendosi proprio all’ex Capo dello Stato del Paese che si stende a Sud del Messico invitato per l’occasione, dirà:
“Vogliamo salutare in modo particolare Jacobo Arbenz, Presidente della prima Nazione latino americana che alzò la voce senza paura contro il colonialismo e che attraverso una riforma agraria profonda e coraggiosa espresse l’aspirazione delle sue masse contadine.
E vogliamo ringraziare lui e quella Democrazia che dovette soccombere per l’esempio datoci e per averci permesso una esatta valutazione delle deficienze che quel Governo non poté superare, il che ha poi consentito a noi di andare alla radice della questione e di defenestrare con un taglio netto i detentori del potere e i loro sbirri”.
Due:
Va qui annotato che il successo conseguito con l’organizzata ‘invasione’ nel 1954 in Guatemala sarà in qualche modo modello dell’invece del tutto fallito tentativo – anche nella circostanza, ad opera di ‘fuorusciti’ – nella Cuba a quel tratto ‘castrista’ datato 17 aprile del 1961 e noto come invasione o sbarco ‘della Baia dei Porci’.
Era già in declino (anche se non evidentemente per le Amministrazioni succedutesi a Washington, considerando le non avvisate pessime conseguenze ideologiche e sul campo del loro operare) la ‘presa’ che aveva portato anni prima l’allora Presidente Americano Franklin Delano Roosevelt, nel momento in cui veniva messo al corrente dei comportamenti dittatoriali di un Caudillo amico, a dire la famosa frase: “È un figlio di puttana, ma è ‘il nostro’ figlio di puttana’!”
Tale non si era dimostrato Arbenz.
Tale, per carità, non si dimostrarono Fidel Castro, Ernesto Guevara e quanti, a loro guardando, agiteranno non solo il Continente Centro Meridionale del Nuovo Mondo.
Sarebbe da lì a pochissimo (già si erano visti in buona parte nel 1955 dal 18 al 24 aprile alla ‘Conferenza di Bandung’ pur non dichiarandosi tali) nato il ‘Movimento dei Paesi non Allineati’ e avrebbe preso consistenza il ‘Terzomondismo’, che sostanzialmente arriverà a certificare la non più appartenenza dei molti Paesi (ventiquattro) che si trovarono alla successiva (dall’1 al 6 settembre, presenti fra gli altri, ovviamente lo Jugoslavo ospitante Josip Broz Tito, l’Egiziano Gamal Abd el—Nasser, l’Indiano Jawaharlal Nehru, l’Indonesiano Sukarno…) ‘Conferenza di Belgrado’ nel 1961 ai due ‘Mondi’ assolutamente prevalenti, quello ‘Occidentale Capitalistico’ e quello ‘Comunista Sovietico’.
Appendice
La Conferenza dei Paesi non Allineati, Belgrado 1961
Città bellissima ed estremamente civile, Belgrado ospita il mausoleo di Tito.
Ho avuto modo di visitare la notevole struttura e di notare come su una grande parete si collochi una gigantesca fotografia che rappresenta tutti i partecipanti alla Conferenza di Belgrado del settembre 1961.
Voluta dal maresciallo Tito, tale Conferenza diede vita alla Associazione dei Paesi non Allineati. Momento di grande rilievo.
In cotal modo considerandolo, attraverso i determinanti buoni uffici di Aleksandra Damnjanovic D’Agostino (che ha dipoi tradotto il testo) ho ottenuto lo studio in merito che qui propongo, studio opera di un giovane ed abilissimo ricercatore belgradese: Bogdan Zivkovic, al quale vanno tutti i miei ringraziamenti. – MdPR
* * * * *
Nel corso dei quattro decenni e mezzo di vita della Jugoslavia socialista, nell’opinione pubblica regnava un’immagine propagandistica della realtà, piena di superlativi.
L’amara disgregazione del Paese ha creato nelle nuove repubbliche una immagine distorta del passato socialista.
L’idealizzazione è stata sostituita dal disprezzo.
La critica nata da questo, come la propaganda precedente, era del tutto irrealistica, totalitaria e altrettanto cieca.
Ora, quando l’area della ex Jugoslavia si è liberata dei censori-guardiani sia del partito comunista, sia dei partiti nazionalisti e degli eserciti degli anni Novanta, è possibile per la prima volta analizzare il passato secondo le leggi della scienza, con obiettività.
Due dei migliori studiosi e storici serbi di Belgrado, l’accademico Ljubodrag Dimic e il Dr. Dragan Bogetić, i migliori esperti sul ruolo della Jugoslavia nella Guerra Fredda, hanno scritto una monografia sull’evento chiave della politica estera jugoslava: la Conferenza dei Paesi non Allineati tenutasi a Belgrado nel 1961.
La voce razionale di questi due storici, l’impatto del movimento dei non Allineati sulla Guerra Fredda, così come la vicinanza tra l’Italia e la Jugoslavia rende il libro potenzialmente interessante e importante per il pubblico italiano e in questo articolo presenterò i risultati delle loro ricerche che sono esposti nella monografia.
1 Svolta jugoslava verso le lontane Africa e Asia.
Negli anni Cinquanta, nel bel mezzo della Guerra Fredda, ci fu un cambio di rotta senza precedenti nelle relazioni internazionali: un Paese comunista nei Balcani decise di concentrare la sua attenzione nella politica estera verso l’Asia e l’Africa, ricusando la legge delle relazioni internazionali dell’Europa di quel tempo: la rigida appartenenza ai blocchi politico-militari sotto la guida di Mosca e Washington.
Collaborando prima con l’Est e poi con l’Occidente, la Jugoslavia aveva acquisito una poco gratificante esperienza.
Entrambi i blocchi politico-militari esercitavano una schiacciante pressione, sia sulla politica che sull’economia.
E in Jugoslavia, come in ogni società che nasce dalla rivoluzione, cresceva un forte desiderio di indipendenza e di risoluzione rapida dei problemi del sottosviluppo economico.
I blocchi non erano in grado di offrire nulla di questo.
Una situazione simile si era creata in Africa e in Asia.
Le rivoluzioni anti-coloniali alimentavano da una parte il desiderio di indipendenza e dall’altra la voglia di porre fine alla povertà, aneliti che né gli egemoni Paesi occidentali, né quelli orientali potevano soddisfare.
Oltre alle analogie con la realtà di Africa e Asia, la Jugoslavia somigliava alle ex colonie per la prospettiva di un grande e poco esigente mercato.
La possibilità di un forte ruolo politico ed economico spronava lo Stato balcanico.
La nuova politica estera concepita a Belgrado si chiamava ‘Pacifica e attiva coesistenza’.
I presupposti di questa politica erano carichi di ideologia.
La sua essenza era il desiderio che i ‘piccoli’ Paesi potessero partecipare in modo equanime al destino del mondo, lottare per la pace e per la cooperazione contro la guerra e i conflitti che minacciavano la loro indipendenza.
Si chiedevano relazioni internazionali tra membri uguali e indipendenti (senza interferenze dell’uno negli affari interni dell’altro) che potevano collaborare attivamente sulle questioni fondamentali per la pace.
Il mondo, si diceva, non usciva certo dal pericolo di conflitti schierandosi nei Blocchi.
L’affermazione di questi postulati sarà raggiunta a Belgrado nel 1961.
Fino ad allora, la diplomazia jugoslava condusse una alacre e strenua campagna per allacciare relazioni con diversi Paesi in Asia e in Africa.
Anomalo per gli altri leader comunisti, Josip Broz Tito capì l’importanza di viaggiare e di allacciare relazioni personali, creando così un enorme capitale politico.
Appare incredibile il fatto che prima della conferenza di Belgrado, Tito avesse avuto ben cinquantadue incontri con i governi dei Paesi poi partecipanti al vertice.
In questi, per nove volte vide la guida della Repubblica Araba Unita, l’egiziano Nasser, per sei volte Sucarno, il leader dell’Indonesia, e Nehru, il leader dell’India.
Inoltre, Tito fece da intermediario per la risoluzione dei problemi tra alcuni Stati e, ottenendo incontri riservati, faceva crescere non solo la propria immagine personale ma anche quella della Jugoslavia nel mondo.
La diplomazia jugoslava investì enormi energie nei contatti e nella conoscenza di Asia e Africa, non più in modo dogmatico ma in modo analitico, esplorando quel mondo e inviando i migliori diplomatici jugoslavi nelle capitali del Terzo Mondo.
L’azione cha ruppe il ghiaccio e la prima manifestazione di questa nuova strada intrapresa dalla Jugoslavia fu la visita di Josip Broz Tito in India e in Birmania, tra il 1954-1955.
Furono instaurati preziosi contatti con questi Paesi che avevano la stessa visione della politica estera.
Il leader jugoslavo nei suoi discorsi ufficiali sosteneva la tesi dei quattro mali del mondo:
la disuguaglianza,
l’interferenza negli affari interni degli Stati, l’esistenza di sfere di interesse e di Blocchi,
e l’esistenza del colonialismo.
Nonostante le difficoltà – come i legami dell’India con l’URSS e con la Cina – il viaggio suddetto fu un grande successo perché si allacciarono importanti relazioni e si confrontarono e avvicinarono le opinioni con entrambi Paesi.
Con i contatti stabiliti, si creò anche il futuro asse del movimento: Tito-Nehru-Nasser.
Nel mese di aprile 1955, nella città indonesiana di Bandung, si tenne la Conferenza dei Paesi asiatici e africani per promuovere principi molto simili a quelli della Jugoslavia.
Josip Broz Tito, entusiasta di questa manifestazione promossa da Nehru dichiaratamente contro i Blocchi, organizzò a luglio sulla isola croata di Brioni, un incontro con Nasser e Nehru.
L’incontro a Brioni e la ‘Dichiarazione Ufficiale’ erano di sostegno alla conferenza di Bandung e alle decisioni ivi adottate.
Tito non si accontentava di limitarsi solo a quell’incontro in quanto ristretto, circoscritto.
Voleva far parte della corrente del movimento e globalizzarlo.
Oltre alle soddisfazioni si percepivano i primi problemi: l’incontro a Brioni mostrò anche delle differenze, tra le quali la principale era la riserva da parte dell’India per un coinvolgimento più concreto, posizione che poi sarebbe diventata un grande problema di Nasser e Tito nelle ulteriori iniziative.
Anche l’economia jugoslava prese direzione verso la stretta cooperazione con l’Africa e l’Asia.
Gli indicatori degli scambi economici con questa parte del mondo erano in crescita, e con operazioni di successo dell’economia jugoslava in Paesi come l’Etiopia, la Siria …
I legami economici per Tito erano intesi come requisiti essenziali per le alleanze politiche.
I progressi nella collaborazione economica portavano a buoni risultati e creavano grandi occasioni nella sfera della collaborazione politica.
Al quindicesimo Consiglio dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, alla fine del 1960, le principali forze politiche non riuscirono a risolvere uno scontro che stava minacciando il mondo intero.
Questo portò ad un’azione dei cinque leader dei Paesi non Allineati, nota come ‘L’iniziativa dei Cinque’.
A Tito, Nehru, Nasser e Sucarno, presenti in quella riunione, si associò anche Kwame Nkrumah, il leader ghanese molto attivo e noto.
Chiesero senza esito un summit dei leader delle maggiori forze politiche, però riuscirono a far votare a tutti una risoluzione sulla collaborazione e un’altra sulla concessione dell’indipendenza alle colonie.
Più del successo di queste due risoluzioni, ebbe importanza questa prima iniziativa dei leader non-Allineati che affermava i principi di non-allineamento e la loro decisione di influenzare le relazioni nel mondo.
La diplomazia jugoslava fu tanto incoraggiata da questi eventi che decise di mettere in atto una strategia per preparare la Conferenza dei Paesi non Allineati a Belgrado.
2 Preparativi per la Conferenza.
Questa ampia strategia jugoslava mirava a convincere molti Paesi non Allineati della necessità di unire le forze contro l’onnipotenza delle Grandi Potenze. Josip Broz Tito si convinse che bisognava viaggiare ancora di più per incontrarsi e stabilire dei rapporti personali, lo considerava arma vincente nell’attività diplomatica.
Nel mese di febbraio 1961 Tito intraprese un viaggio in Africa.
In Ghana, Togo, Liberia, Guinea e Mali, il leader jugoslavo non parlò esplicitamente della Conferenza, ma soltanto dei principi che avevano in comune, avvicinando così questi Stati lentamente al punto di vista jugoslavo.
In Marocco, Tunisia e UAR (EmiratiArabi Uniti) parlò più esplicitamente della necessità di organizzare la Conferenza.
L’argomento principale fu il blocco delle Nazioni Uniti.
La situazione sotto certi aspetti ricordava il periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale.
Per evitare un tale disastro e per sbloccare le Nazioni Unite, Tito riteneva indispensabile un’azione dei Paesi non Allineati, che andava preparata e decisa insieme proprio durante la Conferenza.
L’India era il Paese non allineato più popoloso, e il suo leader Nehru, pioniere nel campo della dottrina del non allineamento.
Questo ne faceva un partner naturale.
Ma la rigidità di Nehru per quanto riguardava qualsiasi cooperazione più solida e il sospetto che i ‘piccoli’ Paesi non potessero fare nulla di significativo sulla scena internazionale, rappresentò un ostacolo non indifferente nella collaborazione in quel senso.
Fino a quando l’India non si decise a cercare di riconquistare la propria posizione di leader e di riattivarsi nel movimento, nel luglio1961.
Questo fu preceduto da numerose riunioni per armonizzare le posizioni.
Durante la riunione più importante al Cairo nel giugno 1961, dove si stava preparando la Conferenza di Belgrado, l’India fu persino isolata per il suo atteggiamento inflessibile e allontanata così dagli altri Paesi che non nutrivano più rispetto nei confronti
dell’India.
Questo fece chiarire definitivamente le idee a Nehru che si convinse della esigenza di un’azione concreta, del dovere dell’India di essere coinvolta e dell’importanza di mettersi a capo di questo movimento che stava nascendo.
L’incontro al Cairo nel giugno1961 fu considerato un grande successo jugoslavo: vinse l’idea di tenere la conferenza dei Paesi non Allineati a Belgrado.
In quella riunione erano presenti i rappresentanti di ventuno Paesi: il governo provvisorio dell’Algeria, Afghanistan, Birmania, Cambogia, Ceylon, Cuba, Etiopia, Ghana, Guinea, India, Indonesia, Iraq, Mali, Marocco, Nepal, Arabia Saudita, Somalia, Sudan, UAR, Jugoslavia, e, in veste di osservatore, del Brasile.
Questi Paesi, costituendo il nucleo dei Non Allineati, determinarono i criteri con cui gli altri avrebbero potuto essere invitati, formulando così il quadro di disimpegno.
I criteri di riferimento erano i seguenti:
1) il governo del Paese doveva condurre la politica estera in modo indipendente, basata sui principi della coesistenza pacifica;
2) il governo doveva fornire il supporto per i movimenti di liberazione nazionale;
3) il governo (Paese) non doveva far parte di un’alleanza militare o di un accordo con uno dei Blocchi;
4) non si dovevano avere delle basi militari straniere sul proprio territorio;
5) se il Paese fosse stato membro di un’alleanza militare regionale, questa alleanza non poteva avere rilevanza per un eventuale conflitto tra i potenti.
La vittoria jugoslava era multipla – passava l’idea di un’Alleanza tra i Paesi Non Allineati e l’idea di un concetto globale (sono stati inclusi l’America Latina e la Cipro europea).
I criteri scelti indicavano anche l’affermazione di un solido orientamento fuori dai blocchi esistenti.
Nonostante tutto questo, la Conferenza del Cairo è rimasta nelle cronache come un incontro amaro a causa delle aspre discussioni causate da un lato dalla dura posizione dell’India e dall’altro dei Paesi, rigidi esponenti del blocco filo sovietico come Cuba, Guinea e Mali.
Nel periodo tra la Conferenza del Cairo e quella di Belgrado ci fu una vivace attività diplomatica in tutto il mondo.
L’India si rimise in moto e Tito riprese un’attiva comunicazione con i Paesi Non Allineati per poter adeguare e chiarire i punti di vista e le proprie posizioni prima dell’incontro.
Vedendo che l’azione aveva ottenuto successo, anche le grandi potenze tentarono di essere coinvolte, cercando di influenzare i partecipanti.
Mosca considerava i Non Allineati ideologicamente più vicini all’Est che all’Occidente, e in molti colloqui con i leader cercò di influenzarli nelle posizioni sulla questione tedesca.
Washington temeva atteggiamenti anti-occidentali e tentava di rafforzare soprattutto i leader moderati dei non Allineati per dissuaderli dall’idea di partecipare alla Conferenza.
Per quanto riguarda l’America Latina, gli Stati Uniti rivendicavano la loro prerogativa in quest’area e condizionarono fortemente i Paesi a non partecipare, riuscendoci con il Messico, ma non con il Brasile, anche se ebbero un ruolo sulle dimissioni del Primo Ministro.
3 La Conferenza.
Dopo gli imponenti preparativi, Belgrado era pronta.
Un fiume di rappresentanti dei mass media si versò nella città di Belgrado; la maggior parte arrivava dagli Stati Uniti: ben centoventisei, ma anche dalla Germania Ovest: quarantanove, dalla Gran Bretagna quarantacinque, dall’Italia: ben venticinque (l’Italia aveva un numero di giornalisti presenti alla conferenza anche superiore rispetto ai Paesi non Allineati, ad eccezione degli Emirati Arabi).
‘L’Unità’ di Milano occupava un posto di rilievo come testata giornalistica tra gli osservatori della conferenza.
Dal 1 al 6 di settembre del 1961 a Belgrado si svolse la Conferenza che ospitò venticinque Paesi partecipanti – in aggiunta a quelli che erano presenti al Cairo, ci furono anche i rappresentanti dello Yemen, Libano, Cipro, Tunisia e Congo.
Solo l’Arabia Saudita, l’Iraq e la Guinea non furono rappresentati dai Capi di Stato, ma dai Ministri degli Esteri.
Altrettanto importane fu la presenza dei delegati di tre Paesi latino-americani in qualità di osservatori – Brasile, Bolivia ed Ecuador, che dava più importanza all’aspetto globale della riunione.
La Conferenza si svolse in un momento molto difficile: le due superpotenze, con il loro comportamento aggressivo e diffuso ovunque nel mondo, cancellavano tutti i principi dei Paesi riuniti a Belgrado, mettendoli sotto una pressione quasi insopportabile.
Gli Stati Uniti non rispettarono la sovranità di Cuba aiutando lo sbarco nella Baia dei Porci, l’aggressione coloniale occidentale si manifestava in Angola, Vietnam, Congo.
I Sovietici, senza accordarsi con nessuno e contro la pace, eressero il Muro di Berlino.
E come per coronare tutti questi atti, si verificarono provocazionianche contro la Conferenza stessa: l’Unione Sovietica annunciò la ripresa dei test nucleari (violando così l’accordo di Ginevra) proprio il giorno della stessa!
Questo cupo quadro del mondo, nello stesso tempo sottolineò la necessità di un’azione dei Paesi Non Allineati nella direzione della pace nel mondo, ma allo stesso tempo esercitò un enorme peso su quelli deboli, tentando di sottometterli al potere delle Superpotenze.
A Belgrado si tennero quindici riunioni plenarie e due riunioni chiuse.
Dal contenuto di queste riunioni emergono alcuni argomenti importanti.
Si parlò del Colonialismo,
dell’interferenza delle Grandi Potenze nei problemi dei Paesi Sottosviluppati,
del razzismo,
del disarmo,
del divario economico tra ricchi e poveri.
La de-colonizzazione era considerata il punto di partenza per tutti i partecipanti, tra cui anche i moderati Birmania e Tunisia.
Sucarno (presidente dell’Indonesia) e Abud (presidente del Sudan) prospettarono anche un concreto e realistico termine di due anni per completare la de-colonizzazione del mondo.
Il discorso anti-coloniale spingeva verso un sostegno generale ai movimenti di liberazione d’Algeria e Angola, al popolo palestinese e alla Tunisia, che aveva subito gli attacchi della Francia.
Il Presidente cubano Dorticos su questo argomento aveva duramente parlato della politica degli Stati Uniti a proposito dei suoi attacchi contro l’indipendenza di Cuba.
Nehru metteva in guardia tutti anche dal fenomeno del neo-colonialismo e dai metodi morbidi di governo delle metropoli.
I partecipanti condannarono fermamente la politica dell’Apartheid in Sud Africa.
Il Disarmo fu un altro punto cardine per tutti i partecipanti.
Criticarono i test nucleari francesi e sovietici.
La Conferenza subì l’umiliazione sovietica con l’annuncio dei test nucleari, che non fu commentata da tutti, ma soltanto da chi ebbe il coraggio di parlare e di esprimere la disapprovazione e il rammarico (come Nehru, Nkrumah, Makarios, presidente di Cipro, Hassan II del Marocco e Salam, primo ministro del Libano).
Tutti i partecipanti si interessarono ad uno dei problemi che li colpiva particolarmente: il sottosviluppo economico nel mondo.
In realtà, questo Congresso fu una richiesta di aiuto da parte del mondo in via di sviluppo ai Paesi economicamente forti.
Si sollecitavano relazioni stabili, ragionevoli e di solidarietà delle maxi potenze nei confronti degli Stati più deboli economicamente.
Si chiedeva la fine dello sfruttamento e una sana cooperazione.
L’industrializzazione fu sottolineata come una priorità.
Questo tema era collegato con gli appelli per il disarmo, con l’invito a investire risorse finanziarie nei Paesi sottosviluppati invece che negli armamenti.
Naturalmente, il colonialismo era direttamente collegato al sottosviluppo, manteneva il divario economico e impediva l’indipendenza economica dei Paesi poveri.
Intorno a tutti i problemi girava anche il ruolo delle Nazioni Unite, si pretendeva cioè un impegno maggiore per i Non Allineati, meritato, visto la dimensione della loro popolazione.
I Non Allineati attraverso le Nazioni Unite volevano combattere il colonialismo a favore del disarmo e per risolvere i problemi del sottosviluppo.
E proprio questa politica darà presto i suoi frutti: dentro le Nazioni Unite sarà istituito un ente per affrontare il problema del sottosviluppo economico, l’UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo).
I ‘grandi’ prima della conferenza facevano pressione sui partecipanti per sostenere la ‘questione tedesca’ vedendo in questo un loro interesse vitale.
Per i Paesi non europei il problema non era molto importante, ma si parlò comunque anche di questo.
E i partecipanti filo-occidentali e filo-orientali esortavano la necessità dei negoziati tra le forze, che non avvenne.
Fu dato il sostegno al mantenimento delle due Germanie, e nel caso di una unificazione stabilire l’obbligo di rimanere neutrali.
Soltanto Cuba non era per il principio dell’accesso libero a Berlino che l’Unione Sovietica aveva violato, costruendo il muro.
Quali erano le posizioni della Jugoslavia durante la conferenza?
Josip Broz Tito, il terzo giorno della Conferenza tenne un discorso, sublimando i postulati della politica estera jugoslava e cercando di mantenere una via di mezzo attorno alla quale si sarebbero uniti tutti i partecipanti.
Tito affermò la capacità dei Non Allineati a perseguire la pace, quello che le Grandi Potenze non riuscirono a fare.
Presentò i cinque temi chiave attorno a cui si dovevano esprimere tutti:
il disarmo,
la Germania,
la colonizzazione,
il sottosviluppo economico
e la “pacifica e attiva coesistenza” nel mondo.
Nonostante il chiaro boicottaggio della Conferenza e la disapprovazione da parte dei Sovietici dimostrato dall’avvio dei test nucleari, Tito espresse comprensione per la condotta russa visto che i Francesi furono i primi a violare l’accordo di Ginevra.
Questa ‘uscita’ di Tito sorprese anche la leadership jugoslava.
Era stata concordata in precedenza con l’ambasciatore sovietico a Belgrado, e rimane ancora oggi un mistero incomprensibile nel suo discorso.
Fu una sorpresa anche per l’amministrazione degli Stati Uniti e dopo la conferenza si raffreddarono le relazioni con la Jugoslavia, non avendo compreso perché Tito non fosse stato più duro verso il blocco Sovietico.
Parlando della Germania, (come già da principio era chiaro a tutti) Tito era più vicino a Mosca: era a favore di due Stati tedeschi, dicendo che la militarizzazione rafforzava il Fascismo in Germania (questo riferimento ideologico, insieme al sostegno all’URSS circa le prove nucleari, furono due eccessi di Tito che offesero profondamente l’Occidente) ma si prodigava per un negoziato tra le Grandi Potenze per una graduale risoluzione della questione tedesca.
Tito parlò ampiamente di colonialismo, dicendo che il contro-colonialismo era un processo naturale che doveva essere accettato da tutti e criticò il comportamento di Francia, Belgio, Portogallo, Sud Africa e Stati Uniti (verso la Cuba).
Riteneva questo una grave minaccia per la pace e sollecitava tempi brevi per l’abolizione del colonialismo e si dichiarava a favore di tutti i movimenti che si battevano contro di esso.
Parlando del divario tra i Paesi sviluppati e quelli sottosviluppati nel mondo, insistette per una soluzione urgente di questo problema e sollecitò aiuti ai paesi poveri, senza le interferenze politiche che ci sarebbero state con questo aiuto.
Infine, sottolineando il principio della pacifica e attiva coesistenza tra i Paesi con diversi sistemi politici, disse che questo era l’unico modo per cambiare il mondo senza guerre e tensioni.
Tramite una cooperazione pacifica, attraverso una riorganizzazione delle istituzioni dell’ONU.
La Conferenza di Belgrado rappresentava per Tito l’impegno dei Paesi non Allineati ad assumersi la responsabilità di costruire la pace e il futuro del mondo con la consapevolezza di compiere una missione di massima importanza.
Il risultato furono due documenti firmati da tutti i partecipanti.
Il primo era un resoconto sulla preoccupazione del pericolo di una guerra imminente e un appello per la pace attraverso il quale si cercò di influenzare urgentemente le Grandi Potenze.
Inoltre, furono scritte e indirizzate due lettere a Kennedy e Khrushchev, con un appello a fermare i preparativi della guerra e a sedersi al tavolo delle trattative per il bene della pace nel mondo.
Il secondo documento, ‘La Dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi Non Allineati’ non aveva obiettivi immediati, ma rappresentava un documento strategico, che si focalizzava su obiettivi a lungo termine dei Paesi riuniti, attorno al quale si dovevano prendere ulteriori provvedimenti.
Il documento evidenziava i principi del meeting:
la responsabilità di tutti per il destino del mondo,
la lotta per l’abolizione incondizionata di tutte le forme di colonialismo e imperialismo,
l’indipendenza e l’inviolabilità del territorio nazionale,
l’equiparazione della guerra con il crimine (la guerra rappresentava il senso della esistenza dei Grandi Blocchi),
la consapevolezza per tutti che le differenze nei sistemi non erano insormontabili,
la necessità di una collaborazione,
la dura condanna dell’imposizione di sistemi politici, la coscienza che ognuno dovrebbe svilupparsi in base alle proprie capacità ed esigenze
e infine, la lotta per la coesistenza pacifica.
I popoli di Algeria, Angola, Congo, JAR, Palestina e Tunisia (per l’attacco francese in Bizerte) ebbero solidarietà con questo documento.
Furono supportati altrettanto i diritti delle minoranze etniche e religiose.
Fu espresso il rifiuto alle basi militari straniere, e il disarmo fu posto come imperativo dell’umanità. Affrontare con urgenza la disuguaglianza economica nel mondo, fu ritenuto indispensabile e richiedeva ulteriori impegni dei Paesi non Allineati e unaconferenza mondiale su quel tema.
***
La conferenza stessa rivelò molte differenze (c’erano le correnti filo-orientali, le correnti filo-occidentali, così come le fazioni arabe).
Nei primi mesi dopo la conferenza, la situazione non era brillante.
I Paesi non Allineati subirono forti attacchi diplomatici dagli Stati Uniti e dall’Occidente, e furono scoraggiati per l’ulteriore cooperazione, in particolare l’India.
L’atteggiamento anti-coloniale in sé portava inevitabilmente ad uno scontro con il blocco occidentale.
È stato un momento particolarmente difficile per la Jugoslavia, che era presa di mira per le dichiarazioni inopportune di Josip Broz Tito.
L’Est, con i toni pubblici lodevoli nei confronti della Conferenza, continuò soltanto con la politica di prendere i consensi e attirare i Paesi Non Allineati dalla parte del Comunismo.
Tito cercò di riequilibrare la situazione invitando tutti i leader, come fece lui con una lettera, a convincere Khrushchev a sospendere i test nucleari.
Questa azione non produsse alcun risultato né a Oriente, né a Occidente.
Nonostante tutti questi fattori negativi, la soddisfazione unanime, l’affermazione del Gruppo dei Non Allineati e l’impegno di non appartenere ai blocchi, durante una Conferenza così grande di Paesi di quattro continenti, rendevano fiera la Jugoslavia.
Il movimento non era ancora nato (per la nascita ufficiale del movimento si considera la terza conferenza a Lussaca, nel 1970), ma questo era un grande passo verso l’unità.
La Conferenza di Belgrado ha consolidato alcuni dei più importanti principi e ha indicato il cammino verso un’ulteriore unificazione e verso la nascita del movimento dei Non Allineati.
Il sogno di un grande ruolo dei ‘piccoli’ e nuovi Stati nella politica mondiale sembrava realistico.
Dottor Bogdan Zujovic, studioso dei rapporti italo slavi
Traduzione dal serbo: Aleksandra Damnjanovic
Correzione del testo in italiano: Pasqualino D’Agostino
Nota
Conferenza tenuta a Milano, presso la Società Umanitaria il 10 giugno del 2017
‘Morire con dignità. Prospettive sull’eutanasia’
L’intervento di Mauro della Porta Raffo
(Nel riportarlo, si mantiene il tono colloquiale originale)
“Su questo tema, pensandoci, mi sono detto, vengo da un altro pianeta, vengo da un altro mondo.
Io vengo da un mondo…
Ecco, alcuni dei presenti hanno i capelli bianchi.
Io non li ho ma l’età è quella.
Chi ha i capelli bianchi è del mio stesso pianeta.
Era un pianeta quello nel quale si avevano delle certezze, praticamente assolute.
Era un pianeta nel quale non c’era la televisione, per i primi dieci anni della mia vita non c’è stata la televisione.
Era un pianeta nel quale non c’erano i blue jeans.
Era un pianeta nel quale si andava, quelli che potevano, in vacanza a Rimini.
Era un pianeta nel quale le macchine erano tutte quante FIAT, novanta percento almeno.
Era un pianeta nel quale si credeva in cose che erano date per certe, sicure, inamovibili, indubitabili.
Era un pianeta che riceveva alcuni libri che hanno cambiato la vita.
Certo la televisione è quello che ha cambiato di più la vita se andiamo a guardare, e quello che accadrà adesso con internet non riusciamo neanche ad immaginarcelo è vero.
Ma ci sono stati dei libri che hanno dato un segno molto, molto preciso del cambiamento.
Prima ancora dei libri c’è stato il Concilio Vaticano II.
Il Concilio Vaticano II è stato qualcosa di straordinariamente rivoluzionario nel vero senso della parola e non posso perdonare Giuseppe Siri per aver rinunciato alla nomina, l’elezione al papato quando, appunto rinunciando a diventare Gregorio XVI (o almeno così si diceva che sarebbe stato chiamato), fece in modo che fosse eletto Giovanni XXIII e di conseguenza che si arrivasse alla rivoluzione.
Giuseppe Siri non l’avrebbe assolutamente consentita.
I libri di cui parlavo sono soprattutto due, fondamentalmente.
Il primo del 1961 ed è ‘I dannati della terra’ di Frantz Fanon.
Ha una prefazione di Jean Paul Sartre che all’epoca era naturalmente un vero intellettuale.
Una presentazione estremamente interessante, molto intelligente, e del resto l’uomo era particolarmente intelligente.
Ed è il momento in cui c’è la rivoluzione da questo punto di vista specifico.
Fino a quel momento noi vivevamo sulla scorta di alcuni convincimenti radicati.
Il convincimento che la razza bianca fosse una razza superiore.
Il convincimento che la razza bianca avesse il dovere di portare in tutto il mondo il Destino Manifesto, come l’aveva chiamato a suo tempo John O’Sullivan. (All’epoca riguardava solamente gli Stati Uniti per quanto concerne l’espansione verso il Pacifico, ma successivamente fu interpretato come il destino di tutto l’uomo bianco di portare la Democrazia al mondo, cosa che molti ancora adesso pensano di poter fare).
Il concetto di Frontiera come era stato utilizzato da Frederick Turner negli anni Ottanta dell’Ottocento e poi ripreso da Kennedy con quel discorso della Nuova Frontiera.
È il discorso che era stato praticamente cristallizzato in qualche modo da Rudyard Kipling quando aveva scritto Il fardello dell’uomo bianco dopo la guerra per la liberazione di Cuba e conseguentemente al fatto che gli Stati Uniti erano diventati anche i protettori delle Filippine essendo tramontato l’impero…quello che era stato precedentemente l’Impero spagnolo ed essendo l’Inghilterra in decadenza. Rudyard Kipling, in quell’occasione, dice che mentre il fardello dell’uomo bianco – che sarebbe sempre quello di portare la civiltà bianca e la democrazia nel resto mondo– era precedentemente un fardello degli inglesi, da quel momento in poi invece diventava il fardello degli americani, in qualche modo.
Tutto ciò viene posto in serio dubbio e anzi viene sradicato – questo convincimento – da questo libro strepitoso di Frantz Fanon.
Fanon è un nero, antillano, francofono. Che ci dice che invece il mondo è diverso da quello che ce lo facciamo apparire.
Anzi che l’uomo bianco è sostanzialmente, stringendo, responsabile di tutto quello che di male è successo fino a quel momento.
Chiaramente, sto semplificando brutalmente come si deve in queste occasioni.
Potremmo discuterne a lungo, naturalmente.
Ecco che quindi abbiamo questo movimento tellurico, un cambiamento radicale che porterà nella società successivamente ad atteggiamenti, a comportamenti da parte di tutti che sono completamente diversi da quelli precedenti.
(Ho detto precedentemente però che c’è ancora qualcuno che pensa che sia il destino dell’uomo bianco di portare democrazia in giro per il mondo e i danni che sono conseguenti sono davanti agli occhi di tutti).
Il secondo libro che ha cambiato radicalmente il nostro modo di vivere e che ha sradicato quei miei convincimenti, quelle mie convinzioni di cui parlavo precedentemente è stato pubblicato nel 1972, era firmato Club di Roma ed era opera di Aurelio Peccei.
Nel 1972 esce I limiti dello sviluppo.
E noi ci troviamo improvvisamente di fronte alla rivelazione che i limiti esistono, che il mondo non è qualcosa che trova in se stesso ogni volta e sempre la soluzione, dal punto di vista economico, dal punto di vista energetico, da qualsiasi punto di vista.
Perché da tutti questi punti di vista invece esistono dei limiti che ci vengono anche evidenziati.
Mi ricordo che dopo aver letto questo libro mi trovai…
Quando vado a dormire mi faccio la barba con il rasoio.
Fino a quel momento lì facevo scendere l’acqua anche mentre mi rasavo.
Non chiudevo il rubinetto e tranquillamente continuavo a farmi la barba e intanto l’acqua scendeva. E improvvisamente ho deciso di chiudere il rubinetto quando non serviva aperto.
Ora questa è una sciocchezza naturalmente, però indica quello che stava succedendo.
I limiti dello sviluppo…
e tutti abbiamo dentro di noi la convinzione che i limiti effettivamente esistano.
Ecco che dal mondo nel quale avevamo delle certezze, attraverso questi due libri, attraverso il Concilio siamo arrivati a mondi nei quali non abbiamo più nessuna certezza.
Il dubbio ci assilla e questo è da certi punti di vista molto grave perché in certi rapporti, in certi conflitti nei confronti di religioni e di modi di pensare che invece non hanno dubbi, siamo necessariamente in difficoltà.
Abbiamo decise difficoltà nel volerci contrapporre.
Potremmo discutere a lungo di questo, gli esempi sono molteplici.
Quindi le varie certezze che andavano man mano scomparendo erano anche relative a quelle che erano dei principi etici dei quali la mia generazione non si faceva nessun dubbio.
Per esempio, non si doveva divorziare, non si doveva abortire.
Della eutanasia non si parlava.
Qualche teorico, nei libri naturalmente, ma la gente, la società non l’aveva praticamente presente.
Quindi, anche questo è stato un cambiamento radicale e rispetto a quella che era stata la mia vita e la vita di tanti di noi in quegli anni, qualcosa di drammaticamente sconvolgente.
Per quanto riguarda la mia esperienza personale, io mi sono battuto, essendo liberale ai tempi e conoscendo benissimo Basliniai tempi di Malagodi diciamo, mi sono battuto per l’abrogazione del divieto e poi per il mantenimento della legge sul divorzio.
Questo perché consideravo, dicevo tranquillamente, ‘Io non lo farò mai, però perché non concedere a chi ne ha la necessità la possibilità di farlo?’ Dopodiché un amico mi incontrò.
Gli dissi questa mia posizione – alludevo al fatto che la legge fosse stata mantenuta malgrado il referendum che pensavo potesse portare all’abolizione, alludevo a questo fatto – e il mio amico mi disse: ‘Vedi questa è stata la crepa che è stata scolpita, incisa nella diga.
Dopo verrà l’aborto, dopo verrà l’eutanasia, dopo verrà chissà che cosa.’
Nel 1974 l’aborto era una cosa che proprio non si poteva concepire, che la società italiana avrebbe respinto e nel 1981 quando ci fu il referendum invece successe esattamente il contrario.
Mi trovo, io che sono vissuto, e che ho la memoria e le fondamenta in quel mondo di cui vi ho parlato precedentemente.
Che ho visto e recepito i cambiamenti di cui vi ho pure detto.
Mi trovo in conflitto, mi trovo personalmente contrario, assolutamente contrario, contrarissimo all’aborto, contrarissimo all’ eutanasia, assolutamente inconcepibili e inaccettabili.
Un breve inciso: non è che nei tempi nei quali io dicevo che si ragionava nel modo che vi ho detto, non ci fossero interrogativi in merito.
Per quanto riguarda l’eutanasia, nel 1950 fu presentato al Festival di Venezia un film di André Cayatte, francese, che tra l’altro vinse il festival di quell’anno, intitolato La giustizia è fatta, nel quale si presentava un processo conseguente ad un caso di eutanasia.
Ma se ne usciva, la risoluzione era data dalla condanna (un film interessante, tra l’altro prevalse nel confronto di veri capolavori del cinema come Giungla d’asfalto di John Huston, come Tutti gli uomini del re di Robert Rossen che è un film straordinario, ma vinse questo film perché evidentemente quel tema che io ancora non conoscevo, non apprezzavo, da qualcuno era conosciuto e affrontato)…
Ma ne usciva il film attraverso la condanna della persona che aveva attuato l’eutanasia a sei anni di carcere, che era praticamente una via di mezzo, perché l’assoluzione poteva essere una via.
Una condanna molto più seria visti i tempi poteva essere l’altra via.
Ma una condanna a sei anni diceva già che a quei tempi non si sapeva bene come fare a questo riguardo.
Ecco vi ho detto quali sono le mie riflessioni, le mie idee in merito, naturalmente potete benissimo contestarle.
Va bene.
Vi ringrazio”.
Più tardi, in replica:
“Due cose velocissime.
La prima è questa: si è messo sullo stesso piano il divorzio e l’aborto. Assolutamente improponibile un discorso del genere.
L’aborto riguarda una terza persona.
Chiuso.
La seconda è quella che concerne fare in modo di garantire che lo stato faccia intervenire a proposito dell’eutanasia negli ospedali pubblici.
Ma se questo vuol dire costringere un medico non abortista, o non intenzionato ad applicare l’eutanasia, a farlo, è qualcosa di terrificante.
Non c’è altro da dire.”
A chiudere:
Mauro della Porta Raffo
Мауро дела Порта Рафо
La città bianca
Tre giorni a Belgrado
Бели град
Три дана у Београду
“Prendile la mano…
Accarezzale il viso…
Baciala…”
Questo mi dettava il cuore
Questo avrei dovuto fare un sabato sera nella città bianca
* * *
“Узми је за руку…
Помази је по лицу…
Љуби је…”
Ово ми је диктирало срце
Ово је требало да урадим једне суботње вечери у белојпрестоници
Isole biancastre di ghiaccio e neve seguono verso sud la corrente
Sava e Danubio, solenni, fondono le acque
Anche qui, incredibilmente, l’inverno sarà presto
tramutato in estate?
* * *
Острва беличаста од леда и снега токове следе према југу
Сава и Дунав, свечано, спајају воде
И овде ће се, чудом, зима
преобразити у лето?
Hai presente il rimmel che macchiava le gote di una donna in altri tempi piangente?
Rivoli nerastri percorrono le facciate delle vecchie case
Una, due mani di vernice, per favore
* * *
Да ли ти је пред очима слика маскаре која је прљалајагодицежене
у некадашњим временима уплакане?
Црни се извори сливају низ фасаде старих кућа
Једна, две руке фарбе, молим вас
E le macerie, i palazzi sventrati nel novantanove e mai più toccati a che si conservi memoria delle atrocità subite
* * *
И рушевине, зграде пробуражене деведесет и девете и никадавише такнуте да се сачува сећање на претпљена зверства
E l’accesso dell’erta sulla quale insiste l’ambasciata americana assolutamente negato alle auto, che siano
o meno imbottite di tritolo
* * *
И стрми приступ на коме инсистира америчкаамбасадапотпуно забрањен за аутомобиле било да сунапуњени експлозивом или не
Una città di frontiera dove gli imperi si confrontavano
* * *
Град на граници где су се одмеравала царства
Nella immensa fortezza, aperto, il museo delle armi
Cannoni, carri armati, mitragliere, blindati…
Non molto lontano, quello delle arti, chiuso
* * *
У огромној тврђави, отворен, музеј оружја
Топови, тенкови, митраљези, блиндирана кола
Недалеко, онај уметнички, затворен
E il mercato
Mille, tante sembrerebbero, bancarelle fisse, coperte
e in lamiera
E le noci, le mandorle, le arachidi sgusciate
E la verdura
E la frutta
E qualsivoglia d’altro
E un profumo che subito ti coglie
* * *
И пијаца
Хиљаду, толико ти се чини, сталних тезги, покривених
И од лима
И ораси, бадеми, ољуштен кикирики
И поврће
И воће
И све друго што хоћеш
И мирис који те одмах намами
Presto, di mattina, con la sinistra come si conviene,
ho alzato le ‘carte figurate’ di Annamaria
“Abbiate pazienza”, l’invito
Alle quattordici e trenta, eccomi all’aeroporto
Il volo?
Rimandato
Otto ore di attesa
Ho avuto pazienza!
* * *
Рано, ујутро, левицом како то већ треба
окренуо сам Анамаријине карте за гатање
“Будите стрпљиви” , позив
У четрнаест и тридесет, ето мене на аеродрому
Мој лет?
Одложен
Осам сати чекања
Имао сам стрпљења!
Traduzione dall’italiano: Aleksandra Damnjanovic D’Agostino
Consultazione alla traduzione: Irena Plaovic
La scelta di alcune parole è stata concordata con il poeta (città bianca – белој престоници; incredibilmente – чудом; l’accesso dell’erta – стрми приступ; carte figurate – карте за гатање)
Questa è la prima traduzione di queste poesie in lingua serba, in esclusiva per la rivista letteraria degli studenti”Vesna” della Facoltà Filologica di Belgrado
Превод са италијанског: Александра Дамњановић Д’Агостино
Консултација у преводу: Ирена Плаовић
Избор одређених речи je био у сагласности са песником (città bianca – белој престоници; incredibilmente – чудом;l’accessodell’erta – стрми приступ; carte figurate – карте за гатање)
Ово је први превод ових песама на српски језик у ексклузивиза студентски књижевни лист „Весна” Филолошког Факултетау Београду