«Lo dico subito e con chiarezza: nessuno aspira a tenere chiuse le scuole. Sarebbe una sconfitta per tutti, per ragioni ideali ma anche pratiche, perché conosciamo bene le difficoltà che vivono le famiglie con ragazzi e bambini a casa. Ma ci vuole l’onestà intellettuale di avvisare i cittadini: se i dati epidemiologici dovessero peggiorare, l’ipotesi dello slittamento della data del ritorno in classe è sul tavolo e andrà valutata con attenzione dalle autorità scientifiche».
Il Veneto fece questa scelta l’anno scorso…
«… E così ci salvammo — dice il presidente della Regione Luca Zaia —. Ricordo le proteste di alcuni studenti e delle loro famiglie fuori dalla sede della protezione civile a Marghera, dove tengo la mia conferenza stampa. Ma fu la scelta giusta ed oggi non solo non la rinnego ma la rivendico: eravamo in zona rossa, sull’orlo del precipizio, e facemmo un passo indietro».
Le Regioni possono assumersi la responsabilità di decidere da sé, il calendario scolastico è una loro competenza.
«Sì ma io auspico sempre una regia nazionale, su questioni tanto delicate non si può procedere a macchia di leopardo. Ripeto: tifiamo tutti per la ripartenza il 10 gennaio, ma se ce lo consigliassero gli scienziati, non sarebbe una tragedia rinviare all’inizio di febbraio».
Scuole chiuse e tutto il resto aperto: non si dà un brutto segnale?
«Gli studenti non sono untori, è sbagliato addossare loro responsabilità che non hanno, ma è un dato di fatto che un ragazzo positivo in classe crea un effetto domino che non si ha in altri contesti: i compagni, gli insegnanti, le rispettive famiglie. Le curve dei contagi al riguardo sono inequivocabili e io, davanti a 860 veneti positivi ogni 100 mila abitanti, non posso voltarmi dall’altra parte».
Qual è la sua proposta?
«Chiedo al governo di valutare l’introduzione dell’automonitoraggio a scuola, a partire dal primo giorno di rientro e fino alla fine dell’emergenza, come già fanno Israele e Gran Bretagna».
Come si realizzerebbe?
«Consegnando a tutti gli studenti, una o due volte alla settimana, un kit per il test fai da te, da eseguire in classe con compagni e insegnanti, sempre su base volontaria. Sappiamo che i sintomi di Omicron compaiono nell’arco di 5 giorni: in questo modo riusciremmo ad intercettare i positivi prima che il contagio dilaghi».
Da che età dovrebbe realizzarsi questo automonitoraggio?
«Lascio sia il Cts nazionale a stabilirlo».
Per alcuni esperti i test fai da te non sono affidabili.
«L’alternativa è nessun test, non mi pare migliore. È inutile insistere nel voler suturare la ferita in ambiente sterile mentre siamo in trincea nel fango sotto i bombardamenti. I fai da te sono ormai entrati nella quotidianità di milioni di italiani, li consiglia anche l’Ecdc, autorità riconosciuta da tutti gli Stati, e sono l’unico modo per eseguire uno screening di massa alla ripresa delle lezioni».
E una volta trovato un positivo che si fa? Quarantena differenziata per vaccinati e non vaccinati?
«Questa non mi pare una soluzione percorribile, la considero discriminatoria perché parliamo di ragazzi, in assenza di obbligo vaccinale, e rischieremmo un pericoloso cortocircuito nella società, con adulti no vax pronti a battagliare a favore di ragazzi non vaccinati, figli di vaccinati. Si aprirebbero nuove faglie nelle nostre comunità, già troppo divise dal Covid».
Cosa propone il Veneto?
«Stiamo lavorando a una “terza via”, se ne sta occupando Francesca Russo, la direttrice del mio Dipartimento di prevenzione, che coordina il tavolo nazionale. Crediamo che soprattutto alle superiori, dove il tasso di vaccinati è molto alto, sia possibile immaginare nuovi modelli di coesistenza tra gli studenti facendo leva sull’immunità di gregge. Non posso dire di più, è un’ipotesi che stiamo studiando e andrà condivisa con le altre Regioni».
Lei è favorevole all’estensione dell’obbligo del super green pass a tutti i lavoratori?
«Se ne sa poco, attendo di sapere che idea abbia il governo, ma credo che il cittadino abbia il sacrosanto diritto di sapere se il barbiere che gli taglia i capelli o il barista che gli serve il caffè è vaccinato oppure no e se non lo è, se è in regola con tutti i tamponi».
Marco Bonet, corriere.it