I sindacati sembrano aver messo il cappello anche sul lavoro agile. È questo probabilmente l’aspetto più significativo del protocollo firmato dal governo e dalle più importanti associazioni il 7 dicembre. In origine la possibilità per il lavoratore di svolgere la propria attività da casa o comunque fuori dal tradizionale ufficio era prevista nell’ambito di accordi aziendali sperimentali, nel senso che non esisteva una disciplina normativa precisa di riferimento, anche se il lavoratore era comunque tutelato in ordine ai principali diritti stabiliti dal contratto di lavoro. Poi è arrivata legge 81 del 2017 che ha dettato la cornice normativa generale prevedendo, in modo innovativo che, al di là del rispetto dei principi vigenti, molti aspetti del rapporto di lavoro potevano essere disciplinati dall’accordo individuale azienda-lavoratore. In realtà il lavoro agile interessava una percentuale modesta di lavoratori e questo spiega la libertà lasciata alle parti e la relativa semplicità della disciplina. Tutto cambia con la pandemia da Covid-19, quando il lavoro da remoto è stata l’unica modalità possibile di svolgimento dell’attività lavorativa per milioni di lavoratori: Assolombarda ha calcolato che prima del 2019 solo il 4,8% dei lavoratori utilizzava il lavoro agile; nel mese di marzo del 2020 questo numero è arrivato a 6,6 milioni, il 44% di tutti i lavoratori italiani; si stima che in futuro questi numeri siano destinati a ridursi leggermente, restando comunque intorno ai 5 milioni. Durante la pandemia l’uso massiccio di questa formula ha costretto ad una deregolamentazione che ha portato alla eliminazione dell’obbligo di accordo individuale in forma scritta, bastando anche un accordo verbale (utilizzato infatti nella maggior parte dei casi). Eliminati anche molti adempimenti burocratici e amministrativi. Adesso il protocollo governo sindacati individua un preciso compito per la contrattazione collettiva: dare attuazione al lavoro agile nei vari settori produttivi, mettendo così i paletti normativi su un terreno rimasto finora abbastanza libero.
Marino Longoni, ItaliaOggi