A creare la repressione finanziaria non è l’inflazione, ma le politiche espansive delle banche centrali. L’enorme liquidità immessa dalle banche centrali ha gonfiato il valore delle azioni e delle obbligazioni favorendo la classe sociale più dotata della disponibilità economica per investire nei mercati finanziari.
In questo scenario una variabile è trasversale a tutte le altre, ovvero il Covid – 19. La combinazione dell’aumento delle preoccupazioni sulle varianti, delle posizioni in portafoglio esposte alle asset class di rischio e della prevedibile diminuzione dei volumi di trading, faranno aumentare la volatilità.
Le banche centrali sono in attesa della rumine della FED il 14-15 dicembre, al fine di capire se con l’inflazione più alta degli ultimi 30 anni, il tapering e il conseguente aumento dei tassi non possano essere anticipati. Si prevede che i rendimenti nominali tenderanno ad aumentare molto meno in risposta all’inflazione rispetto a situazioni simili del passato. Non esclude però una crescita che rimarrà comunque contenuta.
Si sostiene che i tassi reali saranno negativi per gran parte del 2022, mentre il suggerimento è quello di sottopesare i Treasury e i titoli di Stato in generale, sia su base tattica che strategica.
Si deve tener presente che i tassi reali negativi supportano invece un trend positivo per le azioni, anche se i mercati potrebbero reagire in modo eccessivo ai dati economici e ad altri flussi di notizie.
Le prospettive di chiusura dell’anno 2021 e dei primi mesi del 2022 son positive e si considerano eventuali vendite temporanee come opportunità per riaggiustare i portafogli in una posizione pro-rischio.