Le tecnologie al servizio dell’ambiente: dalle card in plastiche riciclabili ai tessuti che evitano la dispersione di fibre e al fuoribordo che filtra il mare
Sono sempre di più le aziende che hanno deciso di mettere in atto iniziative per contrastare l’aumento della diffusione di plastica nel nostro pianeta. La sfida ambientale si fa sempre più tech, e il terreno di gioco si sposta sulle microplastiche. I materiali plastici non raccolti e smaltiti correttamente che finiscono in mare, oltre a rappresentare un pericolo immediato per l’ecosistema, costituiscono anche una minaccia più insidiosa. Con il tempo si scompongono in particelle inferiori ai 5 millimetri, le microplastiche e nanoplastiche, che entrano nella catena alimentare fino a raggiungere anche il nostro organismo: è di dicembre 2020 la scoperta in Italia dei primi frammenti di materiali plastici nella placenta umana e nelle membrane che avvolgono il feto su una serie di donne che hanno partecipato alla ricerca condotta dall’Ospedale FatebeneFratelli di Roma. Suzuki proprio in questi giorni ha avviato i test per la sua ultima novità, un dispositivo aggiuntivo per il motore fuoribordo, che filtra l’acqua usata per il raffreddamento catturando i frammenti di plastica e restituendola pulita in mare, che era stata presentata in anteprima lo scorso ottobre al Salone Nautico di Genova. Un meccanismo da installare sulle imbarcazioni da diporto, e che se diffuso potrebbe liberare il mare di quantità notevoli di microplastiche: nell’impianto di raffreddamento di un comune fuoribordo circolano diverse centinaia di litri l’ora. Le variabili però sono tante, come ad esempio la concentrazione di microplastiche nei tratti di mare frequentati dai diportisti, e quindi oltre alla raccolta e al filtraggio è importante anche andare a monte del problema. È l’obiettivo di alcune una startup del tessile che cercano soluzioni tech per rendere i tessuti di poliestere e microfibra più environmental friendly. Se infatti il problema del cotone è quello di richiedere enormi quantità di acqua per la produzione, i tessuti sintetici, oltre a non essere biodegradabili, a ogni lavaggio liberano micro e nanoplastiche nell’ambiente. Il brand di abbigliamento sportivo Polartec ha messo al lavoro il suo dipartimento di ricerca e sviluppo per dar vita a una nuova tecnologia che riduce la dispersione di fibre di cinque volte rispetto ai tradizionali tessuti tecnici.
Sulla loro scia, e in collaborazione con Polartec, il brand svedese Houdini ha lanciato una linea di tessuti ad alta tecnologia composta al 70% di plastica riciclata. I capi sono lavorati con il metodo sviluppato da Polartec, e il progetto è open source in tutti i suoi aspetti, permettendo così ad altri produttori di attingere liberamente alla nuove conoscenze e ridurre il proprio impatto ambientale senza gravosi investimenti. Ma anche il ramo dei pagamenti può fare tanto per ridurre l’impatto della plastica sull’ambiente. Il gigante EML ha lanciato un progetto per la riduzione delle carte di pagamento in plastica, con l’obiettivo di tagliarle almeno del 50% entro il 2023 (riducendole di 25 milioni di unità grazie all’implementazione di pagamenti digitali), mentre la fintech australiana Hay, accanto all’elevata digitalizzazione, offre carte di credito esclusivamente in materiale biodegradabile. C’è poi il Plastic Bank movement, una vera e propria banca della plastica che parte dalle comunità locali per la raccolta di materiali plastici dal mare e dai corsi d’acqua. Le persone ricevono un compenso per la plastica raccolta, e contribuiscono allo sviluppo di ecosistemi di riciclaggio che portano benefici in termini economici e di sviluppo sociale alle zone interessate. I materiali raccolti, certificati tramite blockchain, vengono lavorati e rivenduti ai brand che vogliono ridurre il proprio impatto utilizzando una plastica sostenibile.