«La transizione ecologica non è certo un pranzo di gala, ma va detto che non è neanche un funerale o una tragedia. Credo che piuttosto servano il coraggio e la coscienza per capire che è una transizione inevitabile, da affrontare tranquillamente». Francesco Starace, amministratore delegato di Enel dal 2014, dopo il vertice G20 di Napoli su clima e energia, non fa mistero delle opportunità correlate a un modello libero da combustibili fossili e rivendica la leadership italiana in materia di scelte energetiche.
Il percorso di decarbonizzazione prefigura una rivoluzione rispetto al modello economico a cui siamo conformati da secoli. Come tutte le rivoluzioni avrà un costo in termini occupazionali e sociali?
«Il vero punto è se tutto ciò avverrà in maniera turbolenta o ordinata, quest’ultima opzione è quella che creerà vantaggi per tutti. Resta che la transizione è inevitabile, mettere la testa sotto la sabbia o cercare di fermarla è inutile. Dico questo anche perché noi abbiamo chiuso 23 centrali elettriche negli ultimi sette anni, senza licenziare nessuno, nel frattempo abbiamo investito sulle rinnovabili, le reti, la mobilità elettrica e incentivato l’elettrificazione dei consumi da parte dei nostri clienti».
Come è messa l’Italia in tutto questo?
«L’Italia è in una condizione migliore di quanto si pensi. Non abbiamo, per esempio, un’industria estrattiva che deve essere chiusa, non ci sono miniere di carbone come capita in Polonia, né decine di centrali a lignite da chiudere come in Germania. Abbiamo avviato una campagna sulle rinnovabili già qualche anno fa con eccellenti risultati. Si aggiunga un tessuto industriale efficiente che, rispetto a quanto avviene in Europa, vanta una minore intensità energetica per unità di Pil. E, infine, il fatto che disponiamo di una delle economie circolari più sviluppate. Siamo, insomma, messi meglio di tanti altri Paesi».
Allora come spiega tanta diffidenza?
«Noi ce la stiamo giocando all’italiana, con la caratteristica che spesso ci contraddistingue: la scarsa consapevolezza delle nostre capacità. Se prendiamo il programma di trasformazione energetica tedesco è facile constatare che il loro progetto punta entro il 2030 a un mix energetico simile a quello italiano. Noi però ci siamo già, quello che dobbiamo fare adesso è aumentare la velocità e migliorare ulteriormente il nostro mix energetico e la capillarità delle reti, diventare più sostenibili e meno dipendenti dall’importazione di materie prime e combustibili fossili dall’estero. Questo genererà più posti di lavoro rispetto a quelli che verranno a mancare».
Il G20 di Napoli ha indicato tra gli obiettivi la finanza verde, ossia allineare i flussi finanziari al processo di sviluppo sostenibile. A che punto è questo percorso?
«I flussi finanziari si sono già dimostrati assetati di opportunità di investimento nell’ambito della sostenibilità. Nel 2019 il nostro primo bond legato a obiettivi di sostenibilità delle Nazioni Unite, ha avuto un successo rilevante. E la nostra ultima emissione da 4 miliardi di euro ha raggiunto richieste tre volte superiori all’offerta. La finanza è dunque lì che aspetta un’occasione. Quello che manca è la creatività delle società che richiedono finanziamenti. Dovrebbero indicare che quelle risorse possono cambiare il loro profilo di sostenibilità, rendendole meno rischiose. Un aspetto che, tra l’altro, consente di finanziarsi a tassi meno elevati. Dunque un’incredibile opportunità per chi imbocca questa strada».
Il Pnrr italiano ha un orizzonte di cinque anni. Visto il nuovo contesto, oltre al business as usual quale obiettivo aggiuntivo si è dato per Enel?
«Quando abbiamo presentato il nostro piano strategico lo scorso novembre il Pnrr non c’era ancora, ma dopo la sua introduzione già il prossimo autunno aggiorneremo il nostro piano, del resto oltre all’Italia, anche Spagna, Romania e Grecia, dove siamo presenti, hanno previsto importanti piani economici. Noi puntavamo a triplicare la nostra presenza nelle rinnovabili nel giro di dieci anni. Il nostro obiettivo con il Pnrr è di incrementare notevolmente nel giro di cinque anni il volume di investimenti sulla rete in Italia e in Spagna. Poi si aggiunge tutto il lavoro per l’efficientamento energetico, i condomini, la mobilità elettrica e i porti verdi».
Il fronte della mobilità elettrica vi coinvolge direttamente. Quali sono le reali opportunità per Enel?
«La mobilità elettrica è ormai un fatto. Il nostro ruolo è affiancare i costruttori per capire quale tecnologia è richiesta alla nostra rete per fare in modo che la ricarica e l’utilizzo dell’auto siano il più efficienti possibile. Uno scenario di sviluppo completamente nuovo che per noi si traduce in un investimento obbligato. In dieci anni installeremo nel mondo 4 milioni di punti ricarica pubblici e privati, oggi ne abbiamo 180 mila. Questo è l’impegno che attende la nostra rete. Tradotto vuol dire aumentare di venti volte il volume dell’attuale business».
Il vostro progetto per la Sardegna delinea a breve uno scenario fondato su un modello libero da fonti fossili.
«In Sardegna non è mai stato portato il gas metano, nel frattempo la chiusura entro il 2025 di due centrali a carbone sull’isola e la predisposizione da parte di Terna di un nuovo cavo sottomarino per aumentare il trasferimento di energia, hanno creato la condizione per un percorso di totale elettrificazione dell’isola. Con l’installazione di 4/5 mila megawatt di rinnovabili e di un migliaio di megawatt di batterie possiamo rendere entro il 2030 la Sardegna la prima regione italiana ad allinearsi ai modelli del futuro. Il tutto creando posti di lavoro e innescando un processo virtuoso».
Andrea Ducci e Nicola Saldutti, corriere.it