Un tempo si passeggiava tra persone vestite nello stesso modo e una marea di biciclette. Oggi Pechino è una metropoli tentacolare dove le ultime collezioni di Milano e Parigi, guidano Maserati e Ferrari come in nessuna altra parte del globo.
Insomma il futuro è qui, con una crescita esponenziale dell’economia e della ricchezza, quasi come se la disastrosa pandemia che da un anno ammorba il pianeta, sia soltanto un brutto ricordo.
Ma per la comunità italiana tutto questo sembra non funzionare proprio così e le logiche nefaste della madrepatria si ripetono pedissequamente anche oltremare.
I fatti.
Da qualche settimana il gruppo di imprese italiane presenti in Cina e organizzate all’interno della Camera di Commercio Europea, l’unica che a Pechino abbia una forza ed una rilevanza capace di Lobby ed Advocacy necessarie alla sopravvivenza imprenditoriale nel paese mandarino, sono in subbuglio.
Il prossimo maggio infatti si svolgeranno le elezioni per ridefinire i vertici dell’organizzazione. La compagine italiana vanta, rispetto alle componenti tedesche e francesi, una posizione di tutto rispetto, grazie alla presenza di 3 professionisti all’interno del Comitato Esecutivo.
L’obiettivo dichiarato sarebbe quello di mantenere le posizioni acquisite, ma non sembra un affare scontato. Il potente presidente della Camera, il tedesco Joerg Wuttke, Presidente del colosso della chimica BASF in Cina e marito della plenipotenziaria a Pechino della russa Lukoil, sta organizzando la sua squadra per il prossimo mandato. Scontata infatti è la sua riconferma, che lo vede gareggiare senza candidati alternativi.
Storicamente, accanto al Presidente, vengono eletti (grazie a complicati giochi tra le componenti) 6 vicepresidenti, ognuno rappresentante un Paese europeo (Germania, Francia ed Italia ne hanno sempre avuto 1, in omaggio alla posizione di fondatore).
Ovviamente però servono i voti di tutta la popolazione delle imprese europee, un un “discreto” accordo tra le parti per ottenere un risultato equilibrato.
Quindi, gli altri Paesi Hanno già annunciato i loro candidati, mentre l’Italia era rimasta un po’ indietro. Perché? Si aspettava l’eventuale Conte ter? Draghi non aveva ancora messo mano al dossier? Non proprio.
La componente italiana è spaccata in due parti in relazione ai candidati da sostenere.
Da una parte c’è Carlo D’Andrea, un rampante avvocato di Shangai, già vicepresidente della Camera di Commercio EU dal capoluogo del sud, che per potersi ricandidare, dopo 3 anni di consecutiva “Veep” ha fatto stravolgere i regolamenti che gli impedivano di ricandidarsi, e si “trasferisce” (solo nominalmente..il suo studio legale é tra i più rinomati a Shanghai tra le aziende italiane) a Pechino.
Dall’altra invece c’è Guido Giacconi, un ombroso ingegnere di Pechino, molto impegnato nelle vicende di energia, climate change (molto attuale oggi in Cina..) e progetti di Smart Cities.
Lo scontro è molto forte. Giacconi, molto stimato dall’establishment statale pechinese, ha dietro di sé il sostegno delle grandi aziende italiane di stato come Eni, Enel, Leonardo, Iveco e tutto il comparto di aziende europee impegnate nel settore energia e costruzioni. D’Andrea vanta maggiore seguito tra le medie e piccole aziende italiane e il forte sostegno del Managment della Camera EU.
E qui si consuma lo scontro più aspro. Infatti il sostegno da parte del Presidente Wuttke all’avvocato italiano, sarebbe stato ottenuto grazie ad un “patto scellerato” di D’Andrea con i tedeschi. In uscita da Presidente del Chapter di Shanghai si sarebbe impegnato a dirottare i voti italiani sulla rappresentante tedesca, in cambio di un “aiutino” a Pechino per la sua elezione.
Parte della community italiana è insorta, sdegnata, e il “Kaiser” Wuttke si professa assolutamente neutrale.
La questione però è finita sulla scrivania del neo ambasciatore Luca Ferrari, che la prossima settimana si preparava a fare un endorsement importante per D’Andrea con una colazione con alcuni imprenditori a Shanghai.
Il nostro Rappresentante avrebbe volentieri evitato polemiche e seccature, ma i mal di pancia nella comunità italiana si ingrandiscono e molti imprenditori e manager sono molto seccati dell’ingerenza della nostra Legazione su un tema così delicato.