Definire e mappare gli indicatori di efficacia dei percorsi assistenziali dei tumori della mammella, il più frequente in Italia (55mila nuove diagnosi stimate nel 2020), e del cancro del polmone, che rappresenta la prima causa di morte oncologica (34mila decessi nel 2017). Questo è uno degli obiettivi della Fondazione Periplo, presentata in occasione di una conferenza virtuale. L’obiettivo è di promuovere un cambiamento profondo dell’assistenza ai pazienti oncologici. Per il progetto di mappare i “requisiti di cura” si parte dalla “fotografia” di 5 centri. La tempestività della presa in carico è requisito essenziale: l’intervento chirurgico deve avvenire entro 30 giorni e la terapia adiuvante, cioè successiva alla chirurgia, va eseguita entro 8 settimane. Il mancato rispetto di questi indicatori può compromettere l’efficacia delle migliori terapie. “I passi in avanti in oncologia sono determinati non solo dal singolo farmaco ma anche dall’appropriatezza di un percorso assistenziale complesso, che va dalla diagnosi precoce, alla corretta stadiazione, all’intervento chirurgico, all’analisi anatomo-patologica e molecolare, fino alla scelta appropriata delle terapie e al follow up”, spiega Pierfranco Conte, presidente Fondazione Periplo e direttore Divisione di Oncologia Medica 2, Istituto Oncologico Veneto (IOV) di Padova. Fondazione Periplo costituisce l’evoluzione di Periplo, associazione formata da clinici che svolgono un ruolo di riferimento nelle reti oncologiche regionali di appartenenza. Anche i progetti Re.Mi, promosso da Associazione Periplo, e MAP, sostenuto da Fondazione Periplo, si inseriscono nel tema dell’appropriatezza delle cure. “Re.Mi definisce i requisiti minimi del percorso diagnostico terapeutico e assistenziale (PDTA) dei carcinomi della mammella e del polmone”, afferma Valentina Guarneri, professore ordinario di Oncologia Medica all’Università di Padova. “Lo scopo è condividere e uniformare a livello nazionale i requisiti minimi perché il PDTA in queste patologie possa ritenersi adeguato. Ad oggi, infatti, solo alcune Regioni hanno definito PDTA corredati da specifici indicatori. Particolare attenzione – continua . è rivolta al rispetto dei tempi. Ad esempio, nel tumore della mammella, l’esito dell’analisi anatomo-patologica deve essere disponibile entro 20 giorni dalla esecuzione della procedura. Dopo la conferma istologica, il caso viene discusso in ambito multidisciplinare, dove è indicata la strategia terapeutica. Il ‘core team’ imprescindibile del gruppo multidisciplinare è costituito dal chirurgo senologo, radiologo, patologo, oncologo medico, radioterapista e case manager. Per la paziente avviata al percorso chirurgico, l’intervento deve essere eseguito entro 30 giorni da quando è posta l’indicazione. E la terapia medica adiuvante, cioè successiva alla chirurgia, va iniziata entro 8 settimane dall’intervento. Sappiamo infatti che il ritardo può compromettere l’efficacia della migliore terapia mirata”. “Come le Breast Unit per la neoplasia della mammella – sottolinea il Conte -, anche per il tumore del polmone servono le ‘Lung Unit’, cioè strutture organizzative basate su equipe multidisciplinari costituite da figure professionali specializzate, in grado di assicurare al paziente il miglior percorso di cura: chirurgo toracico, oncologo medico, radioterapista oncologo, pneumologo e radiologo. L’emergenza Covid-19 ha evidenziato l’importanza dell’integrazione ospedale-territorio. “La pandemia – spiega Gianni Amunni, presidente Associazione Periplo e direttore generale Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (ISPRO) – ha attivato modelli emergenziali sperimentali di presa in carico del paziente oncologico a distanza e a livello territoriale o domiciliare, con discreta efficacia delle prestazioni, anche in assenza di chiari modelli organizzativi. Ora serve un cambio di passo per istituire l’oncologia del territorio, oggi del tutto assente. Il progetto SMART, sostenuto da Periplo, vuole ridisegnare il paradigma dell’assistenza oncologica, superando i muri tra le istituzioni sanitarie e promovendo competenze adeguate anche al di fuori dell’ospedale. Il punto di partenza è definire quanta parte del percorso oncologico possa essere svolta sul territorio. La storia naturale del paziente oncologico è caratterizzata da brevi fasi ospedaliere ben strutturate e da lunghi periodi territoriali o domiciliari con bisogni che non trovano in questo ambito risposte altrettanto organizzate”.