Si trascinano con i piedi pesanti, in queste settimane, i manager della sanità laziale, costretti a fare lo slalom per sopravvivere ai problemi e per assicurare un minimo di ossigeno operativo alle loro aziende. È durissima tra le obiettive difficoltà di gestione sotto la pressione del Covid e il forte condizionamento politico che supera la realtà dei dati della situazione sanitaria. I dati sono corretti? E i referti che non si trovano? Bisogna dire che le stanno provando tutte, i dirigenti regionali della sanità, in qualche modo riescono ad arginare l’emergenza. Ma è la organizzazione che non regge, la burocrazia, gli uomini, che nessuno ha formato per reggere a qualcosa che superi la pressione dell’influenza di stagione. Mancano uomini, risorse, ma manca soprattutto la mentalità, manca l’elasticità di gestire tutto quello che non è routine. Se ci si fosse organizzati prima… è un ritornello che non aiuta. Si poteva prevedere, si poteva organizzare, si poteva attivare la alleanza con la sanità privata, fortissima nel Lazio ed in grado di sopperire agevolmente a una buona parte delle necessità del pubblico. Accade solo nell’ultima fase, per disperazione, che questa collaborazione diventi organica. Troppo tardi. I direttori generali intanto hanno fatto miracoli, molti di loro sono incredibilmente bravi e capaci. Al punto che il governo ha provato (invano) a metterli in campo come commissari per la questione della sanità calabrese. Donetti (Viterbo) Quintavalle (Asl Roma3-Asl Roma 4) Mostarda (Asl Roma6), ad esempio, ma anche Tanese (Asl Roma1) hanno saputo far fronte all’emergenza. Altri vivono in trincea assediati dai problemi e spesso pressati dal territorio che non capisce e non collabora. Santonocito (Asl Roma 5) e Casati (Asl Latina), ad esempio. Poi ci sono quelli che cercano di non farsi notare, cercano di non sbagliare. Quelli che mirano ad altro. Ma la resa dei conti, con il Covid ancora così forte, si allontana.
Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio